Walter Valentini. Il canto del segno, catalogo, Galleria Due Torri, Bologna, 1980

“Il grafismo non incomincia con una espressione in qualche modo servi­le e fotografica del reale, ma lo vediamo organizzarsi… partendo da segni che sembrano aver espresso prima di tutto dei ritmi e non delle forme” (André Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola). Come hanno rivelato in maniera eloquente certe polemiche recenti, intorno al termine “astrazione” regna ancora la più gran­de confusione teorica e critica. È un dato che bisogna tenere ben presente per affrontare, senza incespicare in fuorvianti tra­nelli di lettura, la ricerca di Walter Valentini, giunta con queste opere a un nodo di importanza fondamentale.

Walter Valentini, Stanza bianca, 1980

Walter Valentini, Stanza bianca, 1980

In effetti, una premessa appare indispensabile per comprendere l’omogeneità e la logica di sviluppo di questo lavoro. Astrarre per Valentini significa davvero abs-trahere, cioè decantare il dato fisico, fenomenico, rivelandone l’intima struttura logica, quella “dignità della misura” (così la chiamava anche Sironi) che costituisce non il momento riduttivo, ma piuttosto geometricamente sintetico, dell’elemento visivo. Tutto ciò si organizza in un linguaggio intransitivo ma non neutrale: anzi, esso appare pro­fondamente innervato sia da una profonda suggestione materiale (si pensi alla non metaforicità del supporto, sempre esplicita in Va­lentini) sia da una distillazione sapiente del dato emotivo/sen­suale, che scongiura ogni tentazione di asettiche prefigurazioni cerebrali.

In tal senso, quest’ultima operazione ci appare come la compiuta formulazione di un testo – nell’accezione più estensiva del termine, naturalmente –  analfabeta o, circolarmente, post-alfabetico, la cui fisionomia non deriva dalla determina­zione a priori di un sistema logico/grafico, ma piuttosto dalla decantazione multipla, e a un tempo fulmineamente sintetetica, del dato contingente (fatto sia di esperienza diretta che di accattivanti memorie culturali), affidata alla pratica sensoriale del tracciare come strumento di azione materiale, fisica.

Le modalità di distribuzione spazio-temporale del tracciato non mirano a circoscrivere un tessuto univoco e schematico, ma piuttosto a manifestare un’impronta “mitografica” polisemica, fatta di connotazioni multiple, alla ricerca di un paradiso perduto nella ridda di convenzioni paradigmatiche, quel paradiso perduto che è davvero il luogo dove gesto e segno, parola e scrittura, grafia e supporto perdono ogni confine di­stintivo a favore di una tensione comunicativa radiante. Infatti, per questa via Valentini è giunto addirittu­ra a recuperare quel nesso profondo, di natura quasi magico­/simbolica, che lega la scrittura all’oggetto contenitore, in un vincolo di intima solidarietà che determina un continuo rinnovar­si del flusso dei significati, e che mette in moto, nei confron­ti dello spettatore, un più intimo e radicale coinvolgimento psicologico.