Gianni Colombo, Spazio elastico (progetti: 1964-67), in Gianni Colombo, L’Attico, Roma 1968

Contenitore cubico praticabile all’interno ripartito in volumi di spazio virtualmente circoscritti da fili tesi di materiale elastico, trattati con colore fluorescente e illuminati da lampade a luce ultravioletta, in questa struttura avvengono, per azione di quattro elettro-mo­tori, delle tensioni a sviluppo orizzontale e verticale e a carattere ritmico che la deformano discontinuamen­te secondo una combinatoria progressiva. I volumi di spazio hanno forma cubica e sono fra loro uguali per una coerente iscrizione nella forma dell’ambiente che li contiene, il visitatore può depassare dall’uno all’altro e all’interno di ognuno è possibile osserva­re quelli adiacenti.

Colombo, Spazio elastico, 1967-1968

Colombo, Spazio elastico, 1967-1968

Nell’intento di portare a sempre nuove conseguenze di fruizione estetica l’integrazio­ne dei mezzi di comunicazione visiva, la dimensione dello “spazio-ambiente” rappresenta il luogo a cui far confluire i nostri interessi di ordine plastico. In questo senso si può definire “ambiente” una realizzazione plastica la cui fruizione avvenga in uno stato di abi­tabilità. L’ambiente realizzato per questa esposizione tende a evidenziare lo stato di abitabilità in uno spa­zio condizionato da azioni cinetiche. Ho scelto, quale campo di presentazione, un contenitore cubico pra­ticabile: una delle forme abitabili a noi più consuete, in cui si svolgono permutazioni di forme e dimensioni: condizione abitabile a noi più inconsueta. Il visitatore si troverà all’interno di una organizzazione geometrica dello spazio che subisce osmosi dimensionali conti­nue, dove diversi avvenimenti cinetici simultanei che si sovrappongono e interferiscono espandendosi in ogni direzione tendono a eliminare un centro di attenzione determinato nell’osservazione e a proporre una situazione ritmica polivisiva. Questa sperimen­tazione si propone di concretare un oggetto visuale che, libero da interpretazioni analogiche con la realtà preesistente e da scelte derivate dal mondo sogget­tivo dell’autore, si ponesse come una comunicazione visuale prevalentemente ottica (comunicazione visiva basata su segni da interpretare senza passare da uno stadio semantico). Più precisamente si tratta di una strutturazione cine-visuale programmata in cui que­sta programmazione tende a essere completamente leggibile a livello dello spettatore sotto forma di com­binatorietà di elementi fra loro limitatamente differen­ziati. In altre parole si può anche definire come una costruzione sperimentale con la quale compiere rilievi di comportamento ottico e psichico del suo fruitore, il quale vi apporterà le variabili dovute alle sue reazioni fisiche e psichiche venendo ad autodeterminare, in parte, egli stesso l’immagine che percepisce, aperta ad associazioni di rapporti spazio-dinamici possibili.