Testimonianza per Stropparo, in Enrico Stropparo, catalogo, Giardino delle osmunde dell’Hotel Cervia, Capo Sant’Andrea, Isola d’Elba, 8 giugno – 15 ottobre 2012

Figura di massimo rilievo nella scultura contemporanea in ceramica, Enrico Stropparo si ripresenta con un progetto ambizioso e sottile.

Stropparo, Superfluo, particolare, 2012

Stropparo, Superfluo, particolare, 2012

Ambizioso, perché si dipana nel giardino delle osmunde che Francesca e Cristiano Anselmi hanno reso luogo studiatissimo e insieme wild, senza affettazioni ma denso d’amore e complicità. Sottile, perché Stropparo ha deciso di non ridurlo a scenario estetizzante, ma di accettare l’ingaggio operativo e concettuale che ciò comportava: aggirare la monumentalità, amplificare la misura dell’artificio primo del giardiniere in virtù dell’artificio alto dell’arte, integrare il percorso di sculture in un ambito in cui il mutare dei colori, delle luci e delle ombre, delle prospettive vegetali, è portatore di coinvolgimenti estetici precisi. Affermare dunque la propria qualità, ma senza agonismi arroganze imposizioni nei confronti del luogo, facendosi piuttosto anch’egli portatore d’amore e complicità. Non fare arte nel giardino, ma con il giardino.

Del resto, la riflessione sul naturale e l’artificiale è al fondamento stesso del rapporto che Stropparo ha instaurato con la terra. Da sempre egli ne ha scelto e accolto i colori naturali, le qualità primarie d’una formatività capace di serrarsi in geometrie rigorose ed essenziali ma rimanendo aperta alle suggestioni dell’organico, capace d’aver pelle che si fa carezzare dalla luce oppure la riflette, orgogliosa della propria sostanza plastica. E da sempre è attratto dalla facoltà della terra di farsi, più che volume, disegno nello spazio, metrica e presenza modificante: come una soglia, un passaggio che si nutre d’umori simbolici (e sovviene il montaliano “d’alti Eldoradi malchiuse porte”) ma insieme si dà, qui, ben conficcato nell’orizzonte fisico.Stropparo, Superfluo, particolare, 2012

Stropparo, Superfluo, particolare, 2012

Dunque Stropparo ha scelto, in questa occasione, un percorso punteggiato da porte, da architetture snudate e primarie che si ergono certe di se stesse e subito si moltiplicano, mobili, nel gioco delle ombre portate dal sole, insieme facendosi cornici visive di scorci del verde a loro volta continuamente diversi: presenze dell’arte, ma rese vive e pulsanti da quel loro farsi solidali alla vita vivente che le circonda. Dicono di terra, e acqua, e fuoco, e aria, in un à rebours nel naturale ch’è molto più che commento e suggestione.

Porte, sono, transiti marcati di spazio, a cadenzare nel percorso la situazione d’altre figure. Ecco, ora, le volute che si ergono a raddoppiare e enfatizzare il germogliare delle osmunde, in omaggio alla vegetazione identitaria del luogo. Ecco, ancora, le efflorescenze visionarie che si ergono come ad amplificare, per straniamenti emotivi, il rigoglio circostante. Ecco, soprattutto, le sequenze di viariazioni teoricamente illimiti sullo schema della ciotola.

La ciotola, si sa, è per l’artista della ceramica l’alfa e l’omega, il punto di ogni cominciamento e d’ogni approdo, la sagoma sorgiva e l’universo del possibile. È, accantonata convenzionalmente ogni implicazione pratica, una sorta di idea stessa della forma.

Curva di corpo amato e di geometria, materia che sa d’organico e di sapere sorgivo della mano, la ciotola è intesa da Stropparo come il “vrai lieu” (giusto per evocare un altro poeta, Yves Bonnefoy) di tutti i suoi trascorrimenti visionari. Vi riflette della stessa sua configurazione formale primaria, la fa abitare dalle sue fantasticherie umorose in cui trovano luogo il gioco e l’esperimento fabrile, la volontà progettante e il puro estro dell’invenzione. E poi le dispone, in percorsi che a loro volta si fanno presenza modificante, articolazione di spazio.

Stropparo, Portaria, 2012

Stropparo, Portaria, 2012

Ciascuna d’esse rivendica uno sguardo, sviluppa una questione ed emana un aroma. Poste così, in sequenza, esse si fanno insieme discorso spazioso e sviluppo possibile: non univoco, non unitario, ché sempre avverti un prima e un dopo rispetto a ciò che vedi, percepisci la sprezzatatura del ludus e la concentrazione del fare/pensare rimuginante tutto di Stropparo: e quel riveberarsi della circolarità della sagoma nella disposizione a spirale ben indica che di un infinitezza naturale, comunque, si ragiona.

Ancora una riflessione, suscita questo percorso d’opere. Scegliere la terra come materia, volersi uomo della ceramica, nei decenni ultimi del ‘900 è stata per molti scelta non facile, e certo tutt’altro che pagante. Le ragioni ne son talmente note da non doversi più nemmeno risssumere.

In questo ritorno felice e cospicuo di Stropparo alla pienezza dell’arte ceramica si avverte invece anche il buon sapore dell’orgoglio identitario dell’artefice. Il quale è ben cosciente, naturalmente, che nessuna esibizione talentuosa può surrogare l’arte, ma altrettanto bene sa che una delle ragioni di crisi della ricerca contemporanea è proprio la deriva della maestria, dell’identità disciplinare, della tecnica ascesa in sapienza.

Da questa affermazione forte e orgogliosa egli è ripartito. Il resto è ragionamento di scultura: questa scultura, qualità piena e schietta, sentore di grandezza.