Santomaso. “Splendore di tinte mutevoli”, catalogo, Galleria L’Incontro, Chiari, 3 dicembre 2011 – 31 gennaio 2012

È occasione preziosa, la possibilità di ripercorrere per tappe essenziali il percorso di Giuseppe Santomaso a partire dalla grande maturità, che lo vede negli anni ’50 figura essenziale della compagine dell’astratto-concreto teorizzato da Venturi.

Santomaso, Neri in tensione, 1963

Santomaso, Neri in tensione, 1963

Per misura anagrafica l’artista veneziano giunge a quel tempo già forte d’una formazione autorevole, e maturato da precoci esperienze europee a contatto con un’avanguardia internazionale che dice Picasso ma anche Bonnard, e Matisse: ovvero, un intendimento del colore come elemento determinante della qualità espressiva dell’immagine che ben s’attaglia alla sua sorgiva identità veneta; e una meno faticata assunzione di consapevolezza che il retaggio sensibilistico, il mito dell’innesco naturale e dunque dell’inevitabilità del naturale, può essere più utilmente scambiato con la libertà dell’astrarre lirico: ove la fluenza automatica surrealista, quel suo comprimere e dilatare per dilavamenti emotivi lo spazio e la fisiologia dell’immagine, è pensare non oggettivo senza doversi arroccare entro il fantasma strutturale della geometria, rimontando piuttosto alla radice del fisiologico biomorfismo kandinskyano.

Sin dalla prima metà del decennio ’50 Santomaso dà libero corso a un’invenzione in cui il colore si fa intonazione piena dell’immagine. Il segno vi corre non architettando, ma dipanandosi come una vera e propria sismografia emotiva, per tracce lunghe e sensuosamente curvilinee e agglomerazioni brusche, tensioni organicamente struttive e coaguli densi, in aroma di corporeo. Ma è il colore che, per via d’un passo cantabile e nitido, dispiega il potenziale tutto di trasparenze e brividi, impennate nervose e dolcezze estenuate: è carattere e qualità dell’immagine, è sentimento in scarna e antiretorica enunciazione. E il nero del segno è, comunque, noir couleur, a elidere ormai l’alternativa disciplinare classica tra “disegno” e “colorare”, ché la “commensuratio” (per stare alla triade fondante pierfrancescana) non più può essere ratio imposta all’immagine, ma fattore interno e autonomo di generazione, con il quale l’artista deve porsi in accecata confidente consonanza.

Di fatto Santomaso non è attratto che assai moderatamente dai termini angusti del dibattito nostrano. Soprattutto egli avverte, vigilando la propria vocazione espressiva, che per lui la pittura non può essere effusione drammatica, sovratono, dismisura, volendo piuttosto percorrere la via sottile di un far di grazia cantabile, svolto su trepidi accenti poetici, in assenza di grevità prosastiche: un farsi, soprattutto, pittura di luce nel colore. Senza ansie implicazioni metafisiche, ma luce.

Così egli intende il ruolo della tensione generatrice dell’esprimere, l’intuizione primaria e impreventiva di uno spazio che si faccia trama e schermo di rivelazioni nel colore, del colore, il rigore dello scrutinio applicato non al congegnare la forma ma al coglierla e distillarla nel suo farsi stesso.

Santomaso, Senza titolo,  1953

Santomaso, Senza titolo, 1953

Neri in tensione, 1963, è opera esemplare del transito di Santomaso a una pittura di puro colore/luce. Nella monacalità braquiana dei toni, nel saggiare dei toni la consistenza, le trame e i dilavamenti; nel far del nero, appunto, un carattere, capace di determinare per se stesso movenze ed emozioni dell’immagine, densità e durata; nell’interrogare stremato la trasparenza possibile, il punto limite in cui il corporeo si fa frequenza d’aliti, atmosfera.

Siamo, qui, nella stagione dell’addio di Santomaso alla provvisoria poggiatura informale, sia pure nella declinazione affatto particolare che egli ne pratica.

È già di questo tempo, a ben vedere, il doppio movimento che intonerà i percorsi di poi. Da un lato, è l’intendimento schiarito della pittura come oggettività fisica del colore, che mai rinuncia a dare una sostanza alla luce, che mai si ritrae sino a frequentare umori trascendenti. Dall’altro, è l’auscultazione profonda, lucida, meditata che induce Santomaso a sorvegliare il costituirsi dell’immagine, al riparo dalle esplicitazioni del turbamento espressivo allora in voga, così da chiedere all’immagine di reperire e pronunciare in se stessa un’unità, una necessità formale, una limpida e avvertibile organizzazione.

È ancora la “commensuratio” in gioco, ora, ma ormai schiarita, fatta intima cadenza tersa e, il termine può parere estremo ma è tutt’altro che impertinente, classica, così da consentire al colore di farsi, senz’altra responsabilità, luce.

L’episodio cruciale delle Lettere a Palladio, 1977, di cui Fred Licht ben intuiva l’intento di dichiarare consonanza con un autore che aveva fatto fondamento essenziale del dar corpo nella luce all’idea, intona tutto il percorso successivo di Santomaso, che s’inoltra sino al 1990 dei Timbri del colore ultimi.

Santomaso,  I timbri del colore n. 24, 1990

Santomaso, I timbri del colore n. 24, 1990

Il colore/luce è trasparenza e velatura, ma anche, appunto, corpo, materia fatta collage, accidente superficiale in controcanto, in uno spettro di inclinazioni espressive che svaria dalla meditazione assorta al fasto visivo, in quella che Roberto Sanesi ha definito con precisione “unità di forme insostanziali ed esatte, monumentali e trasparenti”.

Negli anni, nel tempo, l’artista sempre meno interroga e sempre più pienamente vive la propria ossessione dolce dell’essere e sentirsi veneziano, quel ritrovare non per citazione ma per evoluzione congenere il ruskiniano “splendore di tinte mutevoli” delle Stones of Venice, le luci atmosferiche tiepolesche, il grigio capriccioso di Guardi, i trasognamenti accesi e liquidi del Turner lagunare.

Trova, sempre, la misura interna dell’immagine, che può ora annegare in celesti slontanati e palpitanti oppure risonare d’un rosso pieno e maturo, pronunciare la contiguità dell’ocra e dell’oro, rabbrividire nel rosa, perdersi nel dilucolo d’Oriente.

In perfetta estensione di forma, in perfetto, laicamente spirituale, trascorrimento del colore nella luce.