Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, 1525, III

Questa città, la quale per le sue molte e riverende reliquie, infino a questo dì a noi dalla ingiuria delle nimiche nazioni e del tempo, non leggier nimico, lasciate, più che per li sette colli, sopra i quali ancor siede, sé Roma essere subitamente dimostra a chi la mira, vede tutto il giorno a sé venire molti artefici di vicine e di lontane parti, i quali le belle antiche figure di marmo e talor di rame, che o sparse per tutta lei qua e là giacciono o sono publicamente e pri­vatamente guardate e tenute care, e gli archi e le terme e i teatri e gli altri diversi edificii, che in alcuna loro parte sono in piè, con istudio cercando, nel picciolo spazio delle loro carte o cere la forma di quelli rapportano, e poscia, quando a fare essi alcuna nuo­va opera intendono, mirano in quegli essempi, e di rassomigliarli col loro artificio procacciando, tanto più sé dovere essere della loro fatica lodati si credono, quanto essi più alle antiche cose fanno per somiglianza ravicinare le loro nuove; perciò che sanno e veggono che quelle antiche più alla perfezion dell’arte s’accostano, che le fatte da indi innanzi. Questo hanno fatto più che altri, monsignore messer Giulio, i vostri Michele Agnolo fiorentino e Rafaello da Urbino, l’uno dipintore e scultore e architetto parimente, l’altro e dipintore e architetto altresì; e hanno sì diligentemente fatto, che amendue sono ora così eccellenti e così chiari, che più agevole è a dire quanto essi agli antichi buoni maestri sieno prossimani, che quale di loro sia dell’altro maggiore e miglior maestro. La quale usanza e studio, se, in queste arti molto minori posto, è come si vede giovevole e profittevole grandemente, quanto si dee dire che egli maggiormente porre si debba nello scrivere, che è opera così leggiadra e così gentile, che niuna arte può bella e chiara compiu­tamente essere senza essa. Con ciò sia cosa che e Mirone e Fidia e Apelle e Vitruvio, o pure il vostro Leon Battista Alberti, e tanti altri pellegrini artefici per adietro stati, ora dal mondo conosciuti non sarebbono, se gli altrui o ancora i loro inchiostri celebrati non gli avessero, di maniera che vie più si leggessero, della loro creta o scarpello o pennello o archipenzolo le opere, che si vedessero. Quantunque non pur gli artefici, ma tutti gli altri uomini ancora di qualunque stato, essere lungo tempo chiari e illustri non pos­sono altramente.