Paolo Pino, Dialogo di pittura, 1548

La. Piacciavi almeno de farmi intendere le porzioni delle figure, come le si denno compartire, come le si possino dir propor­zionate.Fa. Lo farò, ancor che di rado ci occorre far figure tanto semplici, ritte et inscepide, che si possino integramente misurare, perché ciascun maestro si debbe acuir nella prontezza degli atti moventi e pronti, dove le figure in più parti fuggano, scurzano o diminuisca­no, et a quest’altro che l’ingegno nostro non ci può servire. Formò Iddio l’uomo con ammirabil composizione da molti detta armonia e gli diede una sì proporzionata forma, che da lui furono tratte tutte l’invenzioni, ordini e misure. Gli antichi architetti edificatori trovorono, nell’invenzione, fabricar città, torri, templi, navi et altre machine da guerra; diedero le quantità e proporzione a’ colossi, agli archi, alle colonne, alle porte et alle finestre, non da altro traendole che dalla forma dell’uomo. Fu dall’uomo trovata la forma sferica over il tondo perfetto, ché disteso un uomo in terra pro­porzionato, con le braccia e mani apperte quanto si può in forma di croce, et istendute le gambe e i piedi, allargandole quanto può, postogli una punta di compasso all’umbelico come centricolo l’altra punta accostata alla cima del capo, quella arruotando per l’estremità del capo, piedi e mani, formavano un tondo perfetto. Dall’uomo similmente disteso, ma con le gambe unite, si forma un quadro perfetto; medesimamente si fa la forma triangolare.

Le. In vero l’uomo è la più eccellente creatura tra le cose pro­dotte, e perciò è credibile che l’uomo traessi le cose artificiali da l’uomo, come soggetto più misterioso e più notabile.

Fa. Non vi è porzione di quantità determinata che servi a tutte le forme, imperò che tra noi è gran varietà, perché l’uno è più grande dell’altro. Ma perché queste differenzie nascono dagli ac­cidenti, emoli della natura (come vi ho detto parlandovi della bellezza), gli antichi ingeniosi elessero tra gli uomini una di queste quantità per più proporzionata e giusta, e volsero costoro che l’uo­mo fusse d’altezza di sei piedi, e quest’è l’ordine usato da Vitruvio, ma è da credere che Vitruvio intendesse de piedi geometrici, i quali secondo Marco Varrone et Aulo Gellio erano di quattro palmi di mano, imperò che li piedi comuni fallano assai in molte forme pro­porzionate. Ma qui ci concorre la discrezzione, ch’è intesa da me per buon giudicio. Quanto alla distinzione di membri, vi sono molte difficultà tra coloro che ne parlano; il che a intendere causerebbe nausea e fastidio. Però s’accosteremo a Vitruvio, il quale vuole che nel compartire l’uomo s’usi per misura la faccia, ch’è porta del tesauro nostro, cioè quella distanzia ch’è dal mento all’istremità della fronte, dove prencipia la radice de’ capegli, ben­ché di quella medesima lunghezza siano le mani, cominciando dalla giontura della rasetta fin al dito medio. Conviene adonque ch’una figura, a esser di giusta porzione, sia in altezza dieci faccie, non eccedendo l’undecima, a questo modo: prima, dalla sommità del capo sino all’istrema punta dil naso vi sia una faccia; dalla punta del naso sino all’osso forculare, over sommità dil petto, vi è la se­conda; e dalla sommità del petto al concavo, over bocca del sto­maco, vi è la terzia; da indi all’umbelico si distingue la quarta; poi sino ai membri genitali è la quinta. E qui è la metà della forma; dico dall’osso forculare sino alla pianta de’ piedi, no vi ponendo il capo, per ch’il meggio dell’uomo integro è l’umbelico. La coscia, parte della gamba insino alla punta del ginocchio, è distinta in due faccie, e dal ginocchio alla pianta de’ piedi vi sono tratte l’altre tre. A tal modo la figura si fa in dieci faccie, la qual cosa è stata da me col vivo certificata. E per darvi l’ordine integro, le braccia denno esser tre faccie lunghe, cominciando dalla legatura della spalla e continuando fin alla giontura della mano detta rasetta; e sappiate che la distanzia ch’è dal calcagno alla somità o collo del piede è anco medesimamente dal collo de’ piedi fin all’istremità delle dita; poscia la grossezza dell’uomo, cingendolo sotto le braccia, è per la metà della lunghezza.

La. Oh, quanto m’è grato tal ragionamento, e non di poca utilità!

Fa. La faccia, da noi usata come misura, si divide in tre: un terzo della qual è dalla barba insino sott’il naso, la seconda è dai fori del naso alla equalità delle ciglia, la terza et ultima dalle ciglia sino al fine della fronte. Un’altra sottilità vi dico, che nelle dita della mano vi sono tutte le misure della faccia, una delle quali è dal nodo del meggio sino alla punta del dito indice: vi è quanto dal mento alla fessura della bocca, e quanto è lunga la bocca et anco quanto sono lunghe l’orecchie; poi dall’altra giontura del dito indice più verso l’ugnia, insino all’istremità del dito, vi è la lun­ghezza dell’occhio, e tant’è distante un occhio dall’altro, quant’è lungo un occhio; poi tanto è lontana l’orecchia dal naso, quanto è lungo il dito medio. Così tutte le membra e gionture sono con­formi e corrispondenti insieme. E sappiate ch’in un corpo umano, che sia integro, vi sono inclusi sei cento e sessanta sei membri, tra vene, nervi, ugnie e nodi.

La. E per ciò si dice ch’Iddio e la natura no fa cosa alcuna frustra o vana. Eccovi la grandezza dell’arte nostra, mirate in qual cosa consiste: nell’integra cognizione della più nobil fattura d’Iddio.

Fe. Con tal regole gli antichi scultori faceano figure de dieci pezzi e poi le commettevan insieme, e riuscivano giustissime e proporzionate.

La. Ancor che tal misure ruginiscano, come parte mal usata da noi, pur mi sono gratissime e care.

Fa. Buona cosa è il saper assai, ma perfetta è l’aver cognizione del migliore; è anco più lodabile unirsi alle misure che confidarsi nel suo giudicio.