07. Gabriele Paleotti
Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle imagini sacre e profane, 1582, II, X
Delle pitture di Giove, di Apolline, Mercurio, Giunone, Cerere et altri falsi dei.
Dalle cose dette altre volte nel primo libro se bene assai si può comprendere quello che sentiamo delle pitture de’ falsi dei, nientedimanco, perché questo abuso di tenere la loro memoria è tanto più pericoloso e biasimevole, quanto che, sotto nome di studio di antichità o di polite lettere e di ornamento di librarie, penetra spesso nelle persone grandi, e con fatica, sollecitudine e spesa non poca tiene occupato l’animo nobile di quelle, ci è parso necessario di discorrere alcune cose in particolare.
Imperochè lasciando il risentimento che il grande Iddio per Moisè et i suoi profeti tante volte ne ha fatto nella Scrittura sacra e particolarmente per Zaccheria, dicendo: Disperdam nomina idolorum deterra et non memorabuntur ultra, e per Ieremia, che ne scrive una pistola così longa e così efficace della vanità loro; lasciando che fino i gentili se ne siano burlati così apertamente, come si narra di Agesilao re de’ Lacedemoni, al quale avendo li Tasii edificato un tempio per adorarlo come dio e mandatoli ambasciatori per significarli questo, egli dimandò agli ambasciadori se la loro patria avea potestà di fare di uomini dei, et avendola, che doveano prima fare sé stessi dei, che allora averla creduto che potessero fare anco lui; lasciando da parte che tanti santi padri greci e latini con sì maravigliosa facondia e dottrina hanno mostrata la pazzia, et illusione sciochissima di questi dei, come ne estano volumi loro amplissimi; lasciando ancor varii essempi narrati nelle istorie ecclesiastiche, che tutti condannano questo abuso e tra gli altri quello che si scrive del vescovo Teofilo Alessandrino, che pieno di zelo, avendo distrutto tutti gli idoli alessandrini e convertito quella materia in varii usi di chiese e de’ poveri, al fine volse che un solo simolacro di una simia restasse in piedi e publicamente eretto, affine che i pagani nei tempi avvenire non potessero negare di avere adorati tali dei e si confondessero da sé stessi: che diremo che, avendo Cristo nostro signore sparso il suo sangue per spegnere totalmente la memoria loro, pare che molti tra’ cristiani, in vece di dipingere quel Cristo, il quale con la croce santa ha abbattuto i Giovi e le Giunoni, attendano a rinovare le memorie di quelli con lo scalpello e pennello? Onde ben disse san Crisostomo di quegli che portavano una imagine d’oro di Alessandro Magno nel capello: Dic mihi, haene sunt expectationes nostrae, ut, post crucem et mortem dominicam, in gentilis regis imagine spem ponas?
Certo si può credere che, mentre un pittore o un scultore esprime un falso dio, si sdegnino gli apostoli, i quali con le proprie vite attesero a distruggere le memorie de tali dei; si sdegnino tanti santi, che per questo hanno sostenuto il martirio; si sdegni così nobil schiera d’autori greci e latini, che ne’ suoi libri hanno mostrato la vanità loro; e finalmente si sdegni Dio stesso, il quale, avendo predetto che con la venuta del figlio si doveano cacciare i sciocchi dei, pare che sia fatto bugiardo per la temerità di questi artefici, i quali continuamente attendono a rinovare le memorie dei Bacchi e delle Veneri. In India, quando si atterravano gli idoli, dicono le istorie che i diavoli uscivano mormorando di venire in Europa, e si può credere che volessero accennare che, dove in quelle parti tanto lontane si spezzavano gli idoli, eglino sarebbono venuti nell’Europa stessa, ove è il fondamento della fede, et averebbono con le loro arti fatto che, ove in India si rompevano, qui non solo tutti i pittori e tutti gli scoltori attendessero a rifarne, ma che in fino sotto terra si andassero cercando le reliquie degli idoli antichi. E questo è quello che dà campo maggiore agli eretici di nominarci idolatri; che, se noi avessimo le sole imagini de’ santi, non resterebbe forsi luogo al loro inganno, ma sendo fra noi tante statue de’ falsi dei e facendosene tante ogni giorno, non è meraviglia se con questo pretesto ci dimandano tutti idolatri e prendono occasione d’ingannare i popoli. Quando ci battezziamo facciamo giuramento di rinonziare alle invenzioni del Diavolo; ma quale invenzione è più diabolica di quella de’ falsi dei? Di questo ride il Diavolo e, vedendo alcuna volta anco nei tempii appese l’arme e le invenzioni sue, ne gode fra sé stesso e ne trionfa. E pure la santa Chiesa, per levare infino i nomi stessi dalla bocca de’ cristiani, mutò le denominazioni dei giorni, et ove si diceva “di Luna”, “di Marte”, “di Mercurio” cominciò a nominare “feria II, III e IIII”, si come, oltre quello che si legge nella vita di s. Silvestro, ne fa menzione sant’Agostino, dicendo: Dies Lunae, dies Martis et dies Mercurii dicitur a paganis et a multis christianis, sed nolumus ut dicant, atque utinam corrigantur ut non dicant; melius enim de ore christiano ritus loquendi ecclesiasticus procedit; e un altro, accomodando quel verso di Virgilio Sic pater ipse Deus faveat, su altus Apollo, disse: Sic pater ipse Deus faveat, sic magnus Iesus, riputandosi cosa indegna di nominare Apollo; s. Agostino si ritrattò che avesse nominata la Fortuna e le Muse, scrivendo: Displicet mihi saepe interpositum Fortunae vocabulum et quod Musas quasi aliquas deas quamvis locando commemoraverim; e s. Gregorio riprese gravemente un vescovo, che si tratenesse con i libri che parlano di Giove dicendo, quod in uno se ore cum Iovis laudibus Christi laudes non capiunt; e più distesamente Clemente Alessandrino padre gravissimo e vicino al tempo degli apostoli, dannando simili abusi tra l’altre cose dice: Deorum itaque nuptias et liberorum procreationes, et puerperia et adulteria quae canuntur et convivia quae a comicis recitantur, et risus qui in potu inducuntur, incitant me ut vociferer etiam si velim tacere. O impietatem, scaenam caelum fecistis et Deus vobis factus est actus! et quod sanctum, est, daemoniorum personis in comoedialudificati estis, verum Dei cultum ac religionem daemonum superstitione libidinose inquinantes.
Ma non curano tali cose molti pittori, anzi non pare loro che cosa alcuna sia per riuscire leggiadra, ove non sia Venere o Giove; anzi vi aggiungono et i sacrificii et i sacerdoti, con altre loro impietà. E se dirai che queste imagini si tengono solo per passatempo, sapendo benissimo ognuno quod idolum nihil est in mundo, diciamo che il pigliarsi dilettazione di una imagine non solamente vana, ma falsa e che per sì longhi secoli ha ingannati tanti nel mondo, non pare cosa degna della pietà e prudenzia cristiana, scrivendo Clemente Alessandrino: Non sunt idolorum imprimendae facies, quibus vel solum attendere prohibitum est, sicut nec ensis vel arcus iis, qui pacem persequuntur, nec pocula iis, qui sunt moderati ac temperantes.
Se dirai che sono prezzate queste imagini non per quello che rappresentano, ma per lo artificio e maniera ingegnosa con che sono state fatte, overo per servizio de’ letterati, o per cognizione dell’antichità o per altri onesti rispetti che possono ritrovarsi, sì come si leggono i libri de’ gentili e le favole de’ poeti, che sono piene delle cose di questi dei, non essendo alcuno sì sciocco nel popolo cristiano, che le legga le riguardi per venerarle, o che per loro causa sia mai incorso in idolatria; noi, per replica di queste et altre simili obiezzioni, rimettiamo per maggiore brevità il lettore a quello che si discorrerà al suo luogo, concludendo che noi biasimiamo principalmente l’abuso del tenere queste cose in prospettiva e come per ornamento dei luoghi, perché da questo non si può negare che insieme non se gli attribuisca certo onore e dignità che non gli si deve, anzi, che grandemente offende gli occhi pii de’ cristiani. Onde che, se alcuno per causa di studio delle lettere solamente si dilettasse di avere presso di sè queste imagini, doverla almeno secondo la prudenzia cristiana tenerle in luoghi tanto remoti, che si conoscesse che fa gran differenza tra queste e quelle di persone cristiane et onorate. Il che principalmente dovria esser osservato dalle persone ecclesiastiche, massimamente avendosi l’essempio di s. Gregorio papa, come si trova scritto577, e di molti altri santi, che tutte queste imagini de’ falsi dei come monstri si levarono d’attorno. Onde, quando bene si trovassero altri che le avessero usate, nientedimeno pare a noi che molto difficilmente si possa un cristiano scusare, ch’avendo inanzi agli occhi gli essempii di persone chiaramente sante, c’hanno biasimate et abborrite tali imagini, et altri di persone non canonizzate e forsi reprovate, che le hanno abbracciate, voglia egli postporre quelle a queste e, lasciando il sentiero sicuro, attenersi all’incerto e pericoloso, contra quello che conviene al giudicio, alla prudenza et al buon governo che deve avere ciascuno dell’anima sua.