Censimento della ceramica
Censimento della ceramica, catalogo, Centro di sperimentazioni visive, Fagnano Olona, 27 ottobre – 27 novembre 1979
Perché un censimento della ceramica, oggi? E, soprattutto: perché una ricognizione improntata su un aspetto tecnico-operativo piuttosto che su un orientamento espressivo? Il motivo c’è, ed è duplice. In primo luogo, perché nell’area vasta e differenziata delle arti plastiche la ceramica è ancora adesso considerata ingiustamente un aspetto minore, senz’altro accessorio rispetto a pratiche “nobili” come quelle del marmo, dei metalli, del legno e della pietra. Inoltre perché la natura stessa del materiale intride intimamente, a differenza di moltissimi altri campi produttivi, il processo e l’esito espressivo, con peculiarità che ne fanno un ambito privilegiato di ricerca.
Ma un altro dato fa della ceramica una esperienza unica ed irripetibile, al di fuori di ogni schema artistico convenzionale: è il suo legame con la cultura materiale, con la produzione utilitaria e seriale, con l’universo di relazioni apparentemente insignificanti della vita quotidiana; un elemento che ne ha fatto, attraverso secoli – se non millenni – di pratica, lo strumento privilegiato per accogliere la forma del pensiero e la carezza della mano.
Un capo Dogon del Mali ha detto: “L’uomo costruisce con le proprie mani; la mano dell’uomo è affettuosa, non conosce la forma quadrata; del resto anche l’argilla umida è essa pure tenera, affettuosa. Le mani dell’uomo sono fatte per accarezzare la donna e l’argilla e la pioggia. E perché chi accarezza la sua donna non accarezzerebbe anche la sua casa?”

Fontana, Via Crucis, 1947, particolare
Ecco, lo scopo di questa mostra è appunto di tentare una panoramica di questo rapporto tra l’uomo e un materiale, la terra (con implicazioni che da tecniche si fanno simboliche e filosofiche), attraverso una campionatura di indirizzi rappresentativi. Da Valentini a Fontana, da Leoni a Schiavocampo, da Zauli a Astengo (solo per citare qualche nome), la rosa delle sperimentazioni è estremamente vasta e variegata. All’interno si possono distinguere, grosso modo, due filoni principali.
L’uno è rivolto a una riflessione generale sull’arte plastica e indirizza le proprie forze verso il conseguimento di strutture volumetricamente conchiuse, in cui la funzione che l’operazione tecnica svolge è, nella piena solidarietà col materiale, comunque concettualmente differenziata rispetto all’oggettivarsi dell’immagine: è, in altre parole ancora forma indotta alla materia. In questo versante operano soprattutto gli artisti per i quali la ceramica non è che un momento all’interno di una pluralità di scelte operative (per alcuni addirittura sono evidenti umori di tipo formalistico-decorativo), cosicché per essi appare motivata la leggera vena di frattura tra mestiere e immaginazione, aspetti connessi e interdipendenti, ma non intimamente fusi in un unico processo creativa. Tuttavia, attraverso l’uso che essi fanno del materiale passa una revisione complessa dei significati di “esperienza” , “opera” e “forma”; si attua spesso una lucida presa di coscienza analitica delle proprie potenzialità linguistiche, fuori da ogni serra di retorica accademizzante (o meglio, senza il peso di tradizioni troppo ingombranti come quelle della scultura maggiore); si evidenzia maggiormente nel prodotto finito la tessitura costruttiva nelle fasi progressive del suo attuarsi.
Nelle loro operazioni appare già solidamente instaurato il superamento del vecchio concetto di “scultura rubata allo spazio” a favore di quello di “materia significata”: una materia cui viene comunque riconosciuta (e di cui anzi viene valorizzata) una specifica modalità di esistenza, fino a giungere all’asserzione perentoria di uno specifico immaginativo e organizzativo della ceramica.
E’ in questo senso che tale filone presenta i maggiori punti di contatto con il secondo, il quale, tuttavia, traduce molto più arditamente – e per vie ben differenti – lo stesso ordine di considerazioni tecnico-espressive. Una volta riconosciuta un’intima, specifica identità ai materiale, si può rinunciare a manipolarlo, volgendolo ai propri fini, e invece tentare di sollecitarlo a processi di auto-organizzazione, in cui esso stesso sia in grado di disvelare tutte le sue facoltà di generazione formale. E’ una strada complessa e per molti versi ardua,che presuppone nell’operatore un approccio attivo ma non prevaricante e che stimola organizzazioni imprevedute e spesso folgoranti. Non è solo una questione di diversificazione del procedimento tecnico (che è, evidentemente, notevole): è molto di più. Concettualmente, tale atteggiamento presuppone il riconoscimento addirittura di una sostanza della materia, di nuclei di germinazione derivanti da una ricchissima fenomenologia primaria e da un’altrettanto rigogliosa dinamica di aggregazioni.
Non più, dunque, materia inerte da plasmare, da informare delle proprie costruzioni mentali, quanto piuttosto materia viva da sedurre. E “che cosa vuol dire seduzione se non abilità nell’indurre, con infinita sollecitudine, pazienza e perseveranza, l’oggetto sul quale concentriamo i nostri pensieri a rivelarci, spontaneamente e con estasi, la sua intima essenza…?” (Karen Blixen).
Non appaia dunque eccessivo o fuor di luogo il richiamo, tra mito e cultura, tra poesia e tradizione, ad un presocratico rapporto d’incesto tra l’artista ed una materia, la terra, intesa come contenitore fisico di simboli e memorie, elemento primodi ogni trasmutazione fisica, momento originario di relazione tra l’uomo ed il reale.
Tra il plasmare e il sedurre, tra un atto di imposizione ed un atto d’amore, si svolge una gamma infinita di sperimentazioni mediane, innervate comunque della medesima consapevolezza di un’esperienza impareggiabile, che fa della ceramica uno degli ambiti più interessanti di indagine artistica.
E’ un discorso, quello sulla ceramica, giunto a tal punto di profondità da non poter più essere relegato nell’angusto e defilato campo della pratica artigianale, sia pure eccellente.