Senofonte, Memorabili, III, 10, 1-8

Essendo andato un giorno (Socrate) dal pittore Parrasio, con­versando con lui gli chiese: –  Non è la pittura, Parrasio, raffigurazione di ciò che si vede? Voialtri infatti imitate, rappresentandoli per mezzo dei colori, corpi concavi e convessi, oscuri e luminosi, duri e molli, ruvidi e lisci, giovani e vecchi.

– E’ vero – rispose l’altro. – E dunque, quando imitate le belle forme, poiché non è facile imbattersi in un uomo che sia senza alcun difetto, mettendo in­sieme da molti individui le parti più belle di ciascuno, fate così ap­parire i corpi interamente belli.

– E’ proprio così – disse Parrasio. – E imitate voi anche – riprese Socrate – l’indole dell’anima, e il carattere che è più facile da persuadere, e quello che è più docile, e quello più amabile e quello più desiderabile e attraente? Oppure tutto ciò non è imitabile?

– E come, Socrate, può essere imitabile ciò che non ha né proporzione né colore né alcuna delle qualità che poco fa hai detto e che in nessun modo possono vedersi? – Ma non accade mai all’uomo – disse ancora Socrate – di guardare qualcuno con benevolenza, o con ostilità?

– Mi sembra di sì.  – E non è dunque ciò imitabile attraverso l’espressione degli occhi?

– Certamente.  – E ti pare che di fronte alla prosperità o alle avversità degli amici atteggino il volto alla stessa maniera coloro che se ne curano e coloro che se ne disinteressano?

– Niente affatto, per Zeus, perché coloro che se ne curano si mostrano lieti di fronte alla prosperità e tristi davanti alle disgrazie. – E non è dunque possibile rappresentare anche ciò?

– Certamente. – Ma veramente anche la magnificenza e la liberalità, la volgarità e la bassezza, la saggezza e la prudenza, l’arroganza e la rozzezza traspaiono attraverso il volto e gli atteggiamenti degli uomini, siano essi fermi o in movimento.

– E’ vero. – Non si possono dunque imitare anche queste cose?

– Certo. – E credi – terminò Socrate – che sia più piacevole vedere uomini che mostrino sentimenti belli, buoni e amabili, o che ab­biano caratteri turpi, malvagi e odiosi?

– C’è molta differenza, per Zeus, – rispose Parrasio. Essendo un’altra volta andato dallo scultore Clitone, conver­sando con lui disse: – Io vedo e so, Clitone, che son belli i corridori, i lottatori, i pugili e i pancraziasti che tu fai; ma come riesci ad infondere nelle tue statue quell’espressione di vita che soprattutto attrae chi le guarda?

E poiché Clitone, imbarazzato, tardava a rispondere, aggiunse: – Non è forse riproducendo con la tua opera le forme degli esseri viventi che fai sembrare più vive le tue statue? – Certo – rispose Clitone. – E non è dunque rappresentando, in base ai vari atteggiamenti del corpo, quelle parti che si abbassano e si alzano, si contrag­gono e si allargano, si tendono e si rilassano, che tu fai sembrare le tue statue più naturali e più simili ai corpi veri?

– Senza dubbio – rispose. – E il veder riprodotti anche i sentimenti, nei corpi di co­loro che compiono un’azione, non produce un certo diletto in chi guarda?

– Naturalmente. – E non si deve anche imitare lo sguardo minaccioso dei com­battenti, e l’aspetto lieto dei vincitori?

– Senza dubbio. – Bisogna dunque – concluse Socrate – che lo scultore rappresenti, attraverso la forma, anche i moti dell’anima.