Platone, Leggi, II, 667c-669c

Ateniese –  Vi sono talune arti che si dicono di similitu­dine, in quanto perseguono la produzione di copie. Non credi che, qualora raggiungano questo fine, l’atto del piacere, che nei loro prodotti si viene manifestando, si possa chiamare con pieno diritto col nome di attrattiva, nel caso che tale atto si manifesti come un di più?

Clinia – Sì.

Ateniese – Invece l’intrinseco pregio in tali arti di simili­tudine, per dirla in una parola, dovrebbe essere prima costituito, più che dal piacere, da rapporti d’identità, sia rispetto alla quan­tità, che alla qualità.

Clinia – Bene.

Ateniese – E non è forse vero che col criterio del piacere si potrebbero giudicar soltanto le cose che non producono vantag­gio alcuno? Inoltre le cose che non apportano ulteriore rappresentazione di vero; che non producono rapporto alcuno di copia o di similitudine… E certo, dopo quanto si disse, in base al piacere e all’opinione priva di verità, non si può davvero pronunciar giudizio su qualsiasi forma d’imitazione o mimesi. E lo stesso si deve dire d’ogni tipo di similitudine…

Clinia – Oh! non c’è dubbio.

Ateniese – E non diciamo forse che l’intero campo delle arti belle, l’attività musaica in una parola, ha carattere di similitudine e d’imitazione?

Clinia – Certo. Ma cosa ne concludi?

Ateniese – Ne concludo che non si può assolutamente ac­cettare il giudizio di chi dice che le arti belle debbano essere giu­dicate col metro del piacere. Anzi, ammesso pure che ve ne siano, non bisogna andare in cerca d’arti aventi per unica meta il piacere, come se si trattasse di cose degne d’attenzione. Al contrario, bi­sogna ricercare quell’unica arte esprimente similitudine profonda col bello. ­

Clinia – E’ vero.

Ateniese – Avviene quindi che questi nostri vegliardi, do­vendo ricercare la canzone più bella e in genere la produzione d’arte più degna della Musa, evidentemente, non vorranno andare in cerca di quella che è più piacevole, ma di quella più giusta. Il criterio infatti di giustezza, come stiamo dicendo, nella mimesi, è appunto questo: se la cosa imitata risulti perfettamente tale e quale l’originale.

Clinia – Come no?

Ateniese – Precisamente c’è un punto sul quale tutti, a proposito dell’arte corale e drammatica, sarebbero pienamente d’ac­cordo: ogni sua produzione non è altro che imitazione e similitu­dine. Su questo, senza dubbio, poeti, ascoltatori, attori sarebbero d’accordo.

Clinia – Senza dubbio.

Ateniese – Ne viene di conseguenza che chi non vuole incorrere in errori su questi argomenti, dovrà conoscere ciascuna delle singole composizioni per sapere cosa mai ciascuna sia. Ve­dete, chi non conosce ciò che nell’idea della singola cosa si con­tiene; chi non conosce la ragione della singola cosa e di quale ori­ginale la copia debba render l’effigie, cosa volete che ne possa riconoscere la giustezza oppure l’errore?

Clinia – In nessun modo. Come no?

Ateniese – E chi non conosce questo, vi pare capace di ri­conoscere ciò che va bene e ciò che va male? E non è forse chiara la mia parola? Nel seguente modo tuttavia apparirà più chiara.

Clinia – Come?

Ateniese – Vi sono, senza dubbio, innumerevoli forme di si­militudini che si rivolgono alla vista.

Clinia – Sì.

Ateniese – E cosa avverrà allora, quando non si sa, a pro­posito di questi oggetti imitati, cosa ciascuno sia? Si potranno mai conoscere i particolari resi bene? Voglio dire una cosa di questo genere. Per esempio, le proporzioni d’un singolo organismo e le posizioni delle varie parti. Ebbene, si tratta di sapere se la cosa imitata le possieda, quali sono veramente; sapere se, disposte accanto ad altre parti, hanno quell’ordine e quella disposizione con­veniente. E lo stesso va ripetuto per i colori e per le figure; ve­dere insomma se tutto riesca bene o se lavoro e composizione abbiano sconvolto ogni cosa. Vi pare che questo si potrà ricono­scere, quando si ignora quale sia l’originale che viene imitato?

Clinia – E come?

Ateniese – E cosa avverrà invece se ci è dato sapere che l’oggetto rappresentato in pittura oppure effigiato con la scultura, sia uomo? Se ci è dato sapere che la copia ha avuto, per merito di abilità artistica, le proprie parti tutte quante e i colori insieme e la giusta figura? Non ne viene la conseguenza che chi sa questo saprà anche se l’opera sia bella oppure in qualche modo deficiente per bellezza?

Clinia – Oh! in tal caso, amico di terra lontana, per così dire, potremmo certo riconoscere le pitture belle.

Ateniese – Hai molta ragione. E per ogni imitazione, in pit­tura, in musica e in ogni arte bella, il giudice intelligente non dovrà forse possedere queste tre nozioni? Conoscere intanto che cosa sia la cosa rappresentata; in secondo luogo, quanto giusta ne sia la imitazione; da ultimo, se quella, per ciò che concerne le parole, come canto e come ritmo, è stata bene espressa.

Clinia – È certo così.