06. Aristotele
Aristotele, Poetica, IV, 1448b, 5-19
L’imitare è un istinto di natura comune a tutti gli uomini sin dalla fanciullezza; ed è anzi uno dei caratteri per cui l’uomo si differenzia dagli esseri viventi in quanto egli è di tutti gli esseri viventi il più inclinato all’imitazione. Anche si noti che le sue prime conoscenze l’uomo le acquista per via di imitazione; e che dei prodotti dell’imitazione si dilettano tutti. Una prova di ciò che dico è quel che succede a proposito delle opere d’arte: ché quelle cose medesime le quali in natura non possiamo guardare senza disgusto, se invece le contempliamo nelle loro riproduzioni artistiche, massimamente se riprodotte il più realisticamente possibile, ci recano diletto; come per esempio le forme degli animali più spregevoli e dei cadaveri. E il motivo è questo, che l’apprendere non è solamente per i filosofi un piacere grandissimo ma anche per gli altri uomini allo stesso modo; solo che gli altri uomini vi partecipano con minore intensità. Infatti il diletto che proviamo a vedere le immagini delle cose deriva appunto da ciò che, attentamente guardando, ci interviene di scoprire e di riconoscere che cosa ogni immagine rappresenti, come se, per esempio, davanti a un ritratto uno esclamasse: – Sì, è proprio lui! Che se per avventura non si sia veduto prima, in natura, l’originale, non sarà certo l’immagine sua in quanto ne sia la fedele imitazione che ci recherà diletto, ma ci diletteranno l’esattezza dell’esecuzione, o il colorito o qualche causa di genere simile.