09. Cicerone
Cicerone, Sull’invenzione, II, 1, 1-3
Una volta i cittadini di Crotone, che attraversavano un periodo di grande prosperità ed erano considerati tra i più ricchi d’Italia, decisero di decorare con splendide pitture il tempio dí Giunone, che era oggetto di grande venerazione. Per questo motivo si rivolsero a Zeusi di Eraclea, che a quel tempo era considerato di gran lunga il miglior pittore, assicurandogli un lauto compenso. Egli non solo dipinse parecchi quadri – di una parte dei quali è sopravvissuto il ricordo fino a noi, grazie alla venerazione di cui gode il santuario – ma per poter racchiudere in una immagine muta un modello perfetto di bellezza femminile, disse di voler dipingere l’effigie di Elena. I Crotoniati accettarono di buon grado, poiché spesso avevano sentito dire che egli era il più bravo di tutti nella rappresentazione di figure femminili: pensavano infatti che, se si fosse superato nel genere in cui era maestro, avrebbe lasciato loro nel tempio un capolavoro.
Non si ingannavano. Zeusi infatti per prima cosa chiese loro se vi fossero delle belle fanciulle. Essi lo condussero subito in palestra e gli mostrarono parecchi ragazzi, tutti molto belli (c’è stato un tempo, infatti, in cui i Crotoniati superavano tutti in fatto di forza fisica e bellezza e riportavano vittorie gloriose negli agoni ginnici, con grande onore). Dopo che ebbe contemplato con grande attenzione la bellezza dei giovani, essi gli dissero: “A casa ci sono le sorelle di questi ragazzi e quale sia la loro avvenenza, puoi intuirlo dall’aspetto di questi ultimi”. Egli rispose: “Portatemi dunque, vi prego, le più belle fra queste fanciulle, affinché possa dipingere ciò che vi ho promesso in modo tale che la vera bellezza trasmigri dall’esempio vivente nel muto simulacro”.
Allora i Crotoniati, con un decreto pubblico, riunirono le fanciulle e dettero al pittore la facoltà di scegliere quelle che voleva. Egli ne scelse cinque, delle quali i poeti hanno tramandato i nomi, poiché la loro bellezza era stata giudicata da uno che doveva avere uno spiccato senso estetico. Cinque, poiché pensava che non fosse possibile trovare in un solo corpo tutto ciò che di bello serviva: la natura infatti non ripone la perfezione assoluta in un unico esemplare, ma anzi, come se dubitasse di non avere di che donare alle altre, se concede tutto ad una sola, dona qualcosa di buono a ciascuna, mescolandolo a qualcosa di meno buono.