10. Vitruvio
Vitruvio, Architettura, VII, 5, 1-8
Per le altre stanze, cioè quella per la primavera, l’autunno e l’estate, e così pure per gli atrii e i peristili sono state fissate dagli antichi determinate maniere di pittura secondo determinati modelli. La pittura è infatti l’immagine di ciò che è o può essere: come uomini, edifici, navi; e anche di altre cose, delle quali si traggon copie, a norma di somiglianza, entro corpi ben noti e definiti. Perciò quegli antichi, che iniziarono la moda della decorazione parietale, dapprima imitarono l’aspetto cangiante e il collocamento dei rivestimenti marmorei; in seguito le svariate distribuzioni di corone, di baccellature, di cunei o “denti di lupo”, e le loro vicendevoli relazioni; in seguito, in un terzo tempo, provarono anche a imitare figure di edifici, con colonne e fastigi staccati dal fondo e in prospettiva; e nei luoghi aperti poi, come nelle esedre – data l’ampiezza delle pareti – rappresentarono scenari tragici, o comici, o satirici; invece nelle passeggiate coperte l’ornamento pittorico fu costituito – data la lunghezza degli spazi parietali – da una serie variata di paesaggi, prendendosi gli elementi e le immagini da determinate proprietà di vari luoghi: e cioè porti, promontori, lidi, fiumi, fonti, canali, santuari, boschi sacri, monti, greggi e qualche pastore; parimenti, al posto delle statue usando la grande pittura: simulacri di dei, o scene mitologiche in serie, o le battaglie sotto Troia, o le peregrinazioni di Ulisse di paese in paese, ed altre scene di natura configurate secondo metodi analoghi.
Ma tutti questi temi pittorici, i quali venivano presi come copia di cose vere, ora, per l’iniquo costume, vengono abbandonati e spregiati; sugli intonaci si dipingono cose insensate, piuttosto che immagini normali di oggetti definiti: invece di colonne, calami striati; in luogo di frontoni, appiccicature con foglie crespe e viticci; e parimenti candelabri che sostengono figure di tempietti, sui frontoncini dei quali sorgono, come da radici, in mezzo a volute, teneri fiori che presentano, senza alcun senso, statuine sedute su d loro; nonché steli con mezze statuine, alcune a testa umana, altre animalesca.
Ora tutte queste cose non esistono, non possono esistere, non ci furono mai. Come può mai una canna sostenere davvero un tetto, o un candelabro gli ornamenti di un frontone, o un caulicolo pieghevole e molle reggere una statuina seduta, oppure da caulicoli e da radici venir fuori ora dei fiori, ora dei busti? E pur vedendo che son cose false gli uomini non le biasimano, ma se ne compiacciono, e non badano se taluna di queste cose può sussistere o no. A questo hanno portato i nuovi costumi, che i giudici depravati convincono di inettitudine artistica ciò che è invece eccellenza e bontà d’arte; le menti, infatti, malate e piene di nebbia, non sono più capaci di apprezzare ciò che è grandioso e decoroso. Infatti, non si debbono approvare quelle pitture che non son simili a verità; e neanche si deve dir subito “bene”, se sono rese eleganti dalla virtuosità tecnica, a meno che non presentino ragioni ed argomentazioni sicure e non urtino alcuno…
Poiché poi un sistema falso abbia prevalenza sul vero, merita che si dica; nel fatto gli antichi si sforzavano di incontrare l’approvazione del pubblico sobbarcandosi a fatiche operose; ora invece ottengono lo stesso effetto coi colori e colle loro apparenze eleganti. Un tempo era la perizia e la virtuosità dell’artista che conferiva dignità all’opera; ora quel che conta di più per dare autorità a un’opera è quanto costi al padrone.
Chi infatti degli antichi non sembra di aver usato il minio con parsimonia, come se fosse un medicamento? Analogamente per la cricolla, l’ostro, l’armenio; le quali tinte, quando si usano, anche se poste senza un criterio artistico, riflettono fulgidamente lo sguardo dello spettatore; e per il fatto che costano molto, nei contratti, in via d’eccezione, si dispone che siano fornite dal proprietario, non dall’appaltatore…