Orazio, Ars Poetica, 1-37

Se un pittore vuol unire una cervice equina a una testa di donna e sovrapporre piume diverse a membra prese alla rinfusa da ogni specie di animale, di modo che la donna, bella in viso, termini poi sconciamente in una coda di pesce, nera; invitati a ve­dere un simile mostro, come potreste, o amici, resistere al riso? Credete a me, Pisoni: a un dipinto siffatto somiglierebbe un carme le cui immagini si formino vane, come sogni d’infermo, cosi che né piedi né capo si accordino in una sola chiara figura.

“Ai pittori e ai poeti è stata sempre giustamente riconosciuta la facoltà d’intraprendere qualsiasi audacia”. Lo so; anzi, io stesso domando e concedo questa libertà: ma non al punto che belve feroci si accoppino a bestie mansuete, non al punto che si uniscano serpenti e uccelli, tigri e agnellini.

A propositi solenni, che annunziano cose grandi, si appiccia spesso una o due pezze di porpora che mandino bagliori lontani: come quando descrivono il bosco sacro e il tempio di Diana e il corso tortuoso di un rivo che s’affretta per campi ameni o il fiume Reno o l’arco dell’iride. Sì, va bene; ma non c’entrava per niente. Sarai capace anche di raffigurare un cipresso; ma a che serve se chi ti paga per farsi dipingere desidera di venir rappresentato in atto di salvarsi a nuoto dai rottami della nave, quando ormai non più lo sperava? Hai cominciato un’anfora: perché, girando la ruota, viene fuori una brocca? Insomma, l’argomento sia quale tu vuoi, purché semplice ed uno.

La massima parte di noi poeti, o voi padri e figli degni del padre, ci lasciamo attrarre dall’apparenza del giusto: mi studio di esser breve, divento oscuro; a chi cerca una forbita semplicità vien meno il nerbo e il sentimento; chi affetta il sublime dà nell’enfa­tico; chi teme guardingo la tempesta rasenta la terra; chi s’affanna a variare, in modo meraviglioso e strano, un soggetto per sé molto semplice, finisce col dipingere un delfino nei boschi un cinghiale nel mare. Per fuggire un difetto s’incorre in un altro: quando manca l’arte.

Quello scultore vicino alla scuola dei gladiatori fondata da un Emilio, giù in fondo alla via, sarà bravo a rendere le unghie, a imi­tare nel bronzo la morbidezza dei capelli, ma sgraziato nell’insieme dell’opera, perché non saprà fondere il tutto. Non vorrei certamente rassomigliare a lui, se dovessi comporre qualche cosa: come non vorrei vivere con un naso deforme, sebbene ammirato per il nero colore degli occhi e della chioma.