L’artista, il poeta
L’artista, il poeta, Milano, Palazzo della Permanente, 12 novembre 2010 – 9 gennaio 2011
“D’alti Eldoradi malchiuse porte!”. È un intuire luce, e comunque un altro vedere, anche, e forse soprattutto, il Novecento: quello dei poeti, come Eugenio Montale, e a un tempo quello dei pittori, per un tempo non breve ad essi intimamente sodali.

Soffici, Composizione, 1913
È un vedere dalla vicenda lunga perché, nonostante una mitologia tenace, fattasi poi retorica e recita mondana nel comportamento di bohème, voglia l’artista “omo sanza lettere”, è la radice stessa dell’identità artistica che il rinascimento fonda a prevedere, e per certi versi necessitare, che l’artista sia creatore eccezionale, e individuo autre, dotato di facoltatività definitiva, titolare di un agire – è ancora Leonardo a dire – “secondo che mi verrà alla fantasia”: perché, ricorderà Paolo Veronese di poi, “nui pittori si pigliamo la licentia che si pigliano i poeti et i matti”, come anticipando il “Nur Narr! Nur Dichter!” di Nietzsche.
La modernità dell’artista è, nella parte sua migliore che il secondo Ottocento reistituisce sui quei precedenti di nihil humani, cultura unitaria della parola e dell’immagine in scambio fitto, ben consapevole che il carraccesco “parlare con le mani” sia solo l’accessorio, necessario ma non sufficiente (anzi, molto, forse troppo Novecento s’è fatto forte della svalutazione programmatica della disciplina) di un’esperienza che è, si sa, si vuole, fondativamente discorso, la cui formalizzazione possa essere pariteticamente, e facoltativamente, immagine o scrittura.
Sarebbero da indagare e rimemorare, certo, le questioni di milieu e le griglie sociologiche di habitus bourdieuiano che fanno dell’artista di tardo Ottocento e del Novecento iniziale, sia egli indifferentemente poeta o pittore o le due cose insieme – da Baudelaire a Schiele, per dire – i protagonisti dell’estraneità per definizione al comune sentire: è Zola a stabilire in un geniale sintetico appunto i contorni di “un mondo a parte: puttane, assassini, preti (religione), artista (arte)”. Tant’è. Il pittore è, può essere, spesso poeta, perché pienamente immedesimato nel ruolo d’eccezione esemplare, che alla società ha cose da dire, impellenti, importanti, senza la presunzione d’essere ascoltato ma perché, beckettianamente, “il faut dire des mots, tant qu’il y en a, il faut les dire, jusqu’à ce qu’ils me trouvent, jusqu’à ce qu’ils me disent, étrange peine, étrange faute, il faut continuer”.

Carrà, Rapporto di un nottambulo milanese, 1914
Dunque, non un dire in prosa, com’è la pittura che ha proclami da lanciare e speranze di convincere, ma in poesia, perché è questo il territorio dell’individuo irrelato, dell’uomo solo che parla, uno ad uno, ad altri uomini, che incontra e s’incontra per elezione, che vede dove non altri, che indica a chi condivida lo sguardo possibile, estremo.
Non è un caso che Filippo Tommaso Marinetti scaturisca dalla cultura di simbolo, che fondi e regga una “bottega di poesia”, e che scelga i suoi interlocutori primariamente tra gli artisti che, come Carlo Carrà, vedono “ovunque cattivo gusto e ignoranza pretenziosa mescolata a una sorta di mania per una pittura di intingoli e di mostarde”: che, dunque, si son fatti consapevoli d’uno spazio del pittorico ridotto neppur più a racconto, ma a cucina corriva del significato. E sono le riviste e le tavole parolibere, la pienamente recuperata dimensione della pagina come territorio in cui si accampa e conflagra il conflitto fertile tra significato e senso, tra lettura e visione, una sorta di combustione del codice e della forma da cui scaturiscano segni, insieme antichissimi e nuovi, capaci d’irradiare energia vitale sorgiva anziché ridursi a certificazioni mortali: invocherà decenni dopo Gastone Novelli, erede prezioso d’un mondo affollato di scritture e visioni: “se i quadri potessero gridare come porci scannati! E le immagini non morissero appena nate”.
Da qui, dal futurismo vivido di Boccioni e Carrà, Soffici e Cangiullo, poi ancora Fillia e Farfa, non poteva che muovere questo viaggio per exempla della permanenza, sempre più segreta ma tenace e mai trascolorante, del rapporto del pittore con la parola poetica, con una pagina capace di farsi comunque visione, in nome d’un fingersi nel pensiero che è, originariamente, intuizione indivisa e inscindibile. Capace anche, e questo è tema assai più esplorato dalle indagini storiche, di aprirsi in quel tempo stesso e in altri luoghi parimenti al suono, a un’idea distillata del musicale e del suo farsi visione possibile, sino a intuire una sorta di ulteriore unità radiante, in modi che trovano paralleli in poche altre, e non meno fondanti, esperienze: dico da Ciurlionis a Kandinskij, da Blok a Malevic, da Burkijuk a Majakovskij, da Matjushin a Krucenych, su su lungo una via che porterà da Schwitters, a Cage, a Fluxus.
Scontati estroversioni provocatorie e atteggiamenti en fumiste, il futurismo attua in modo pieno e potente ciò che nella cultura di simbolo era soltanto intuizione, e auspicio. Cosa non meno cruciale, esso procede per sintesi ulteriore tra cosmopolitismo e intuizione primaria di un’identità culturale forte, di radicamento in qualcosa che non sia l’apparato esteriore della tradizione, ma valore culturale costitutivo: cultura italiana non è indicazione convenzionale, è modo di essere e di vivere.

Villa, Mercato del Sale. Tavola IV, c. 1974
Ciò è importante per leggere le evoluzioni dei maggiori dei protagonisti di quella temperie, Carrà e Soffici in specie, verso un’arte che, sottratta al generico modern style delle avanguardie storiche, trovasse la propria ragion d’essere in una operazione intellettuale che non prevedeva il rinchiudersi nelle calde serre dell’auctoritas della tradizione, ma il fondare ben salde radici in un “essere italiana” che la necessitasse: moderna perché viva e pulsante, e perché orgogliosamente erede nell’oggi dello spirito, della tensione, dell’altezza, dell’antica.
“Lo scopo è uno solo, e su di esso sono tutti d’accordo oggi in Italia: far sì che l’arte italiana torni ad essere un valore internazionale quale oggi non è… Se vogliamo primeggiare in arte, bisogna che il nostro gusto sia più avanzato di quello delle altre nazioni, più moderno perché più vivente; bisogna che i nostri artisti cresciuti nel gusto più avanzato ne siano padroni con il loro genio, lo rendano italiano, e lo impongano come italiano nel mondo”. Così Lionello Venturi, anno 1927, in Problemi d’arte, uscito nella rivista fiorentina “Leonardo”.
Solo una vulgata mediocre, immemore dell’impatto della metafisica sul dibattito internazionale e degli empiti di quella che Aldo Rossi, architetto ammiratore di Mario Sironi, ha indicato non molti anni fa come “diversa modernità” capace di rapprendere la misura antica, la sapienza disincantata del sacro artefice, per edificare con ferrea legge compositiva e concettuale un paesaggio visivo attuale, ha potuto svalutare la radice Sezession di un Arturo Martini, i germogli dada del primo de Pisis, e a fianco vicende pubbliche come ciò che si legge nel proclama Contro tutti i ritorni in pittura accomunante Russolo e Sironi, Dudreville e Funi, e tra le pagine di “Valori Plastici”.
Il declinarsi in altro della parlata futurista è un’onda lunga la cui spinta non è l’appiattimento derivativo sul rappel à l’ordre, ma la prosecuzione in senso evolutivo dell’esperienza d’avanguardia, e soprattutto la volontà di cogliere quella che Dudreville indica come tensione a “riassumere, cogliere, cioè, l’essenza spirituale emotiva delle cose”. È ciò che le opere qui esposte mostrano, ma anche ciò che si legge nell’inquietudine della parola martiniana, nella dedica a Montale del “fantasma di meriggi lontani” di de Pisis, per far qualche esempio.

Carrega, Un'idea di pagina, 1974
Proprio perché italiano l’artista è, necessariamente, anche poeta, in un mondo di contiguità di cui un personaggio come Francesco Messina, scultore amico più di poeti che d’altri artisti e poeta in proprio, s’erge, anche mondanamente, a naturale mediatore e animatore, e in cui l’opera di un editore come Giovanni Scheiwiller offre occasioni essenziali. Colui che ha concepito nel 1925 la collana “Arte Moderna Italiana”, pubblicando volumetti su Tosi, Casorati, De Chirico, Carrà, Soffici, Modigliani, è lo stesso che mette in circolo il genio di Ezra Pound pubblicando nel 1932 Profile, e quattro anni dopo, frequentando con Fausto Melotti la trattoria all’Insegna del Pesce d’Oro, ne trae gli auspici dell’incrocio con la parola poetica di Pound e Valéry, Sinisgalli e Quasimodo, Gatto e De Libero, tra i molti: e, non a caso, Scipione. Né meno significativo è, per dire del clima e dell’omogeneità di quel mondo, l’altro incrocio, quello con Hans Mardersteig, tra i cui titoli di nobiltà figura quasi vocazionalmente, già prima della venuta in Italia, un’edizione memorabile delle Poesie di Michelangelo. È lui, spesso con la complicità verrebbe da dire inevitabile di Scheiwiller, a instaurare da noi il territorio magico del livre del peintre, zona franca perfetta in cui il testo poetico e il figurare si incontrano a un livello ulteriore: e sono pubblicazioni con Martini, de Pisis, Campigli, Manzù, Vellani Marchi, Marino Marini…
Tutto ciò fonda un ambito di cultura solido, i cui naturali prosecutori sono, nel secondo dopoguerra, molti. Penso, su tutti, a Melotti, che proprio presso Scheiwiller jr. pubblica quel monumento che è Il triste minotauro, esempio perfetto d’un esprimere sempre in bilico tra immagine visiva e testo poetico; penso a Toti Scialoja e alla cultura delle riviste letterarie capaci di dare ancora i Broggini e i Tadini, e poi figure come Ruggero Savinio – erede in tutti i sensi di modelli grandi – e Alberto Ghinzani. Ed è lo stesso ambito che, coglie negli anni Sessanta i segni di una evoluzione ulteriore, figlia perfetta di quello strepitoso avvio di secolo. Dico l’esperienza inafferrabile e proliferante di Emilio Villa, padre nobile, e dico di Vincenzo Agnetti e Roberto Sanesi, Gastone Novelli e Ugo Carrega, sperimentatori diversi di forme e modi in cui quell’antica radice, il ceppo italianissimo e modernissimo di Boccioni e compagni, continua a fruttificare.