Novelli
Le tue parole inciampano nelle mie estasi. Gastone Novelli. Opere su carta, catalogo, Padiglione d’arte contemporanea, Milano, 8 giugno – 15 luglio 1983
Persona
“Giovanile, charmeur, indisponente” (1), oppure scavato dalla fatica – fatica fondamentale, stanca speranza – di agire l’arte, com’è nelle foto di Mulas del ‘68. Novelli è così, “fascio di nervi anarchici e di fumi aristocratici”. (2) Corporale e attivo come lo Harry Morgan di Hemingway: ma non personaggio, piuttosto persona beckettianamente trasmutante, in circolare approssimazione al nulla, i cui impulsi vitali procedono dal “to have butterflys (in the stomach)”, così com’è detto, splendidamente, nel parlar corrente americano.
La cui pittura, il cui lavoro corre sul filo del dar parvenza a quelle farfalle, senz’altro ethos che quello del rischio, dell’avvertirsi mentre si fa, dell’esibire – impersonalmente – i topoi intrecciati di una proiezione mitica: il corpo, il linguaggio, lo scrivere… (3) “C’è chi riesce a fare e agire senza sciupare nulla di sé e chi si deve consumare tutto per fare una cosa piccolissima… Se i quadri potessero gridare come porci scannati! E le immagini non morissero appena nate”; “questa pittura me la porto dietro ormai per forza come la vita. E’ sempre su di me lo stesso grande peso morto, senza calore, e l’amore la speranza si trascina in terra smangiucchiata tanto l’ho ripetuta”; “il mio lavoro è talmente segreto e forse inutile”; “ce que m’oblige d’écrire est la crainte de devenir fou”. (4)

Novelli, Le tue parole inciampano nelle mie estasi, 1967
Premessa
C’è il rischio del colpo di mano letterario, dell’eccesso di esistenziale in tutto questo, certo. Ma nel caso di Novelli non si tratta di codici ingiustificati, sovrapposti ad arbitrio.
La cultura del Novelli degli inizi è proprio di questa marca, e ne impronterà definitivamente gli atteggiamenti di fondo. Rileggiamo i suoi lavori di formazione, e il momento della partecipazione alla stagione straordinaria de “L’Esperienza Moderna”, la rivista fondata insieme ad Achille Perilli.
Da principio (1952-55) le sue carte rivelano un’attenta opera di scavo all’interno delle valenze dell’astrazione, nella declinazione a forte impronta razionale datale da Max Bill e compagni.
Novelli riflette intorno ai comportamenti spaziali della struttura (Equilibrio 1, Movimento ascendente), costruita per tensioni, per cerniere non statiche, per equilibri precari se non improbabili. L’idea di spazio vi è teorica, una sorta di neutralità che pretende una sintassi, una propria specifica qualificazione. Due sintomi possono essere ritenuti come nuclei di futura consapevolezza: l’atteggiamento di assoluta non emotività che l’artista assume nei confronti dei materiali visivi messi in campo, e il problema del metodo (s’è detto problema, e non proposizione: anche le aperture sperimentali di Novelli avranno tale sapore critico, non fideisticamente avanguardistico) attraverso cui l’immagine si configura.
Il rientro a Roma dal Brasile, dove ha vissuto per anni, tra la fine del 1954 e i primi del ‘55, provoca il successivo scatto. Non è inutile indicare, per sommi capi, l’atmosfera circolante nel milieu culturale romano in quella seconda metà degli anni Cinquanta.
La griglia dei riferimenti artistici apprezzabili è quella, variamente letta e vissuta, dei Prampolini Burri Capogrossi Colla Cagli (il carisma di quest’ultimo, al di là degli equivoci del e sul suo lavoro, appare ogni giorno più evidente sulle giovani generazioni di allora).
Inoltre, due assi di connessione internazionale appaiono di prima importanza. L’uno è verso la cultura statunitense, per occasioni dirette(5) e per mediazioni come quelle di Afro – con cui Novelli ha un intenso sodalizio – e di Scialoja. Il secondo si rivolge a Parigi, città in cui Novelli si reca spesso fin dal 1956-57. Le figure di riferimento sono Tzara, Masson, Man Ray, Arp, Bataille, e poi Jean Clarence Lambert, Lévêque, Jaguer, Simon (e una lunga amicizia legherà Novelli a Marmori, tramite fondamentale fra Parigi e Roma).
All’interno di questo clima, nutrito pariteticamente e omogeneamente di cultura artistica e letteraria, e dei brividi nervosi del jazz, anche, matura “L’Esperienza Moderna”: dai cui numeri traspare la filigrana degli umori, delle letture, delle riflessioni di Novelli intorno al problema della pratica d’arte. (6)
In sintesi, non un rigetto tout court di ciò che veniva chiamato informale, e piuttosto un suo attraversamento, una decantazione per il vaglio della rilettura di dada – sul numero 3-4 si pubblica addirittura un collage realizzato a più mani da Novelli, Perilli e Man Ray – e del surrealismo di matrice più tipicamente letteraria, di Klee e delle sue ragioni genetiche, nel confuso progetto di rifondare, grazie a una “nuova figurazione”, una humanitas moderna, di riscattare la convivenza con l’irrazionale.
Attenzione, però. Novelli abita queste situazioni con piglio diverso da quello dei suoi compagni di via. La sua capacità di introiettare è tale che questa tramatura di informazioni e impulsi viene assorbita purificandola dei sapori contingentemente attualistici, omogeneizzandola in radice a un rovello individuale, febbrile.
II “nomadismo” da “argonauta” che gli viene riconosciuto fin da quegli anni (7) lo fa guardare a questi dati come già da lontano, attraverso l’occhio dell’illuminista che si sa in compagnia solo di illusioni, artifici, possibili, mai certezze. E’ un non-credo che sopravvive nella figura del viaggio (8), del passaggio, il cui Prepararsi un metodo – è il titolo di un disegno – si prefigura come mero sostitutivo di conoscenza. In Scritto sul muro dice: “in ogni caso questa è una cosa fatta, non indispensabile”.
Inoltre egli si nutre contemporaneamente di un’allure letteraria che non è, come in molti casi in quei tempi, un supplemento alla riflessione pittorica e una prurigine interdisciplinare, ma un vero e proprio spostamento di piano del senso del lavoro, da cui nasce addirittura quella sovrapposizione e identificazione, di straordinaria e fertile ambiguità, tra la pagina-libro e il foglio-pittura (esemplare è Il libro, del ’67), che è il dato sostanzialmente centrale della sua espressione. Con i corollari che si possono immaginare, e si vedranno, sul piano della riflessione e del bagaglio di strumenti, concettuali e tecnici, chiamati così in causa.
Si sanno (9) le sue frequentazioni di lettura – non libresche – più consuete: Bigarrures et touches…, Rimbaud, Jarry, Beckett (significativamente edito in Italia nel 1957-58), Lautréamont, Bataille, Klossowski….
A un altro livello, possono essere tipiche certe coincidenze, tra fine anni Cinquanta e primi Sessanta: l’uscita nel ‘58 di Marchand du sel di Duchamp; la circolazione di testi ed esperienze di Michaux (Misérable miracle è del ‘56, L’infini turbulent del ‘57); le edizioni italiane del Grado zero di Barthes (1960), di Senso e non senso di Merleau-Ponty (1962), e poi il nascere di questioni come la linguistica e il dibattito sul simbolo, dopo le edizioni dei testi di Panofsky nel 1961-62 (10), eccetera.
Sono fattori climatici, questi, che in grado diverso insaporiscono il territorio problematico di Novelli.

Novelli, Superficie grande, 1959
Corpo
Nelle carte grosso modo coincidenti con la stagione de “L’Esperienza Moderna”, alcune dichiarano con maggior evidenza il rapporto riflessivo con una raggiera di esperienze, coeve e non: Klee, Man Ray, le “impronte” di Scialoja, la calligrafia… (il sodalizio con Twombly fa parte a sé, è meno fondante e più biunivoco di quanto si creda correntemente). (11)
E’ ancora un cercarsi, su questo piano, un parametrare le proprie vocazioni. A un livello più di sostanza, però, Novelli matura un chiaro e lucido senso, quello del corpo.
“La creazione di un’opera plastica valida ha le sue origini nell’impulso che spinge ad agire e finisce con l’atto fisico dell’esecuzione”, scrive; e ancora: “Da questo agire nasce un rapporto nuovo fra esecutore ed opera; l’imprevedibile, come espressione dei moti più intimi e sconosciuti dell’io, assume maggiore importanza. Il controllo razionale e l’automatismo operano insieme e non è più possibile distinguere dove finisca l’uno e abbia inizio l’altro (12). E altrove: “Tutto ciò che esce dalle mie mani è molto più semplice di un raziocinio. Viene fuori così a forza di essere toccato, forse è qualche cosa di organico, certo sono cose che non vanno al di là delle necessità di un uomo, della larghezza delle sue braccia, della estensibilità fisica del suo cervello”. (13)
Laddove è chiara la scaletta di certi riferimenti – la corporeità esistenziale dell’art autre, da un lato, dall’altro l’idea del segno come deposito e la fisicità dello spazio d’azione americani (14) – ma anche delle specifiche tipicità. L’analisi come filo di continui avvertimenti consapevoli dell’agire; l’immagine come autonoma dichiarazione di necessità spaziale dei segni, in complicità con l’artista; l’atto come punto di aggallamento di un fantasma possibile. Che sono modi di porre una sorta di non metaforica identità organica tra il corpo (parcella senziente, pensante, agente) dell’artista e quello dell’immagine, la cui durata è quella stessa della fisiologia (da physis) del segno.
Ancora è in gioco un penchant di marca poetica, la corporeità dell’espressione che ritroviamo in Progressive vers di Charles Olson, la cui importanza per certe stagioni dell’arte è ormai accertata. (15)
Da Il cervello a Monk, da Scorcio del primo tema a Animale a molte gambe, l’area di senso messa in moto – al di là dell’intrinseca, respirante levità ed eleganza – può essere letta proprio sotto il segno dei comportamenti dei materiali d’immagine: fluire e addensarsi, pulsare, coprire e svelarsi, incidere e affiorare, disporsi e disperdersi, emergere e depositarsi, erigersi e distendersi, e via discorrendo.
Non c’è trasferimento di pensiero o di emozione, c’è semmai un assumer sintassi da parte dei dati – che Novelli propone per accumulazione senza progetto, disomogenei per qualità: gesso, carta di giornale, vinavil, colore, segni di matita – e un farsi organismo che trasmuta la primaria pelle (teorica?) del foglio.
Per l’artista è un riconoscersi facendo, non più, com’era stato per altri in passato, un riflettersi nel lavoro.
Spazio
“Che cosa è lo spazio? Sono delle piccole strade per passare”, annota Novelli in un disegno del ‘66. Nello scorcio finale degli anni Cinquanta il senso di percorrenza polidimensionale dello spazio è ancora in incubazione.
L’idea di superficie-muro (16) (possibilità di topologia), di una consistenza e di una resistenza del piano all’atto, è di qualità schiettamente pittorica, seppure già con tutte le mutazioni cui si è accennato. Ne è importante quel grado di concretezza, che pure è neutralità, o meglio disponibilità a farsi luogo, che elide ogni suggestione di proiezione metaforica, o simbolica, ogni nozione di schermo o finestra. E’ una frazione possibile, ambigua in quanto fisica e a un tempo non vissuta da contenitore, passivo, e invece come trama di tensioni molteplici immesse dal prender corpo delliimmagine. Nel testo di Scritto sul muro ciò appare ben evidente. (17)
“Occorre accettare altri modi di essere dello spazio”, scrive in quei tempi Perilli. (18) Novelli avverte – e sono sintomatici lavori come Superficie grande o Grandi segni – che la via possibile è quella di una sorta di topografia del presente mitico, di una qualità di spazio altamente variabile, di un luogo della raccolta dei segni che si reimmettono in una vita altra.
Linguaggio
Che, sull’onda montante dei nuovi climi in cui la sua contaminatio letteraria lo porta a vivere, Novelli giunga alle soglie dei Sessanta all’identificazione segno pittorico-linguaggio, con tutte le conseguenze che ciò apporta sulle riflessioni intorno a nozioni come metodo, sistema, schema, organizzazione, sintassi, discorso, è cosa affatto naturale.
La sua è, da sempre in fondo, un’”ossessione linguistica” (19), un lavorio sul punto focale in cui la pratica d’arte e la riflessione teorica sull’arte (più volte chiamata in pelle, per frammenti verbali, nelle opere stesse) ritrovano la loro reciproca condizione di necessità.
Giungere al punto in cui il segno si dà, per sé, indipendentemente dalla propria natura convenzionale, dal proprio sedimento storico, e stabilisce a un tempo il proprio ubi consistam visivo e di relazione, non è che una conseguenza di certi ricercari in corso (cfr. I volta e Atto unico, entrambi del ’60). Con, in più, il nutrimento fornito dalla frequentazione di certi testi, come s’è accennato, e di personaggi come Giuliani, Manganelli, Pagliarani, Lombardi e altri fondatori del Gruppo ‘63, in compagnia dei quali affronterà la nuova esperienza editoriale di “Grammatica”. (20)
Reperendo le annotazioni sparse da Novelli in testi e opere di quegli anni – la sequenza cronologica, da questi momenti, non ha più senso nei suoi percorsi – vi si riconoscono sintomi importanti: “Il linguaggio ha una realtà indipendente dalle circostanze”, si legge nel disegno Le regole del gioco – Infinite partite, del ‘63. E ancora: “Al di là del razionale esiste una categoria più importante, quella del significante” (in un’incisione del Viaggio in Grecia, del ‘66). “Non farò mai più un ‘quadro’ nella mia vita, ma farò solo avvenimenti, e se saranno troppo grandi, pazienza”. (21)
Per non dire dei materiali ricchissimi che emergono dal dibattito programmatico a più voci che intesta il n. 1 di “Grammatica” (con Balestrini, Giuliani, Manganelli, Novelli, Pagliarani e Perilli) e il testo di Novelli Pittura procedente da segni, (22) in cui mette a fuoco l’idea di “linguaggio magico”, astorico, operante su materiali eterogenei svuotati di memoria culturale (come fossili, dice) e sottoposti a un processo di accelerazione straniante che li reinstaura in una diversa struttura discorsiva e visiva.
Sketch book
Si è già detto dello spostamento di piano del lavoro implicito in questo atteggiamento di Novelli. Il suo puntare a una griglia di riferimenti problematici altri rispetto a quelli abituali della pittura, anche quella più avvertita e innovativa, non deve tuttavia indurre a sospettare in lui ansie di rigorismo teorico, di una – benché diversamente orientata – ortodossia di pensiero nei confronti di una qualche metrica ideologica.
Quanto a metodo, l’incedere di Novelli è sempre spurio, divagante, in continua contaminazione, in continua deroga dalla stessa idea di modello culturale. Che si tratti di icone o di materiali verbali, egli non adotta mai lo scorrimento della parafrasi o della descrizione, (23) di un trasferimento comunque codificabile, afflitto da ansie filologiche.
La sua complessione è quella di un vorace annotatore en marges, alla maniera di Borges, che destruttura e deidentifica in frammenti gli universi linguistici plurimi, ne carpisce giocosamente i meccanismi, ne attiva la serie indefinita di ulteriori possibilità di stato, di connessione.
Luogo tipico e primo di questa appropriazione di segni è lo sketch book, il taccuino. Novelli ne ha lasciati alcuni, con annotate pariteticamente (!) citazioni di testi, flussi di riflessioni riportati nel loro dipanarsi, lacerti di figure – schizzi, percorsi grafici, dettagli – di un veduto-sognato-avvertito.
La tangenza con la formula paratattica dell’automatismo vi è evidente. E’ fare del segno, precipitato di cultura collettiva, il punto primario, essenziale, vergine, di un’espansione tutta soggettiva, di polarità diversa, la cui garanzia d’esistenza e d’espressione risiede nella capacità stessa di configurarsi in sistema possibile.
E’ attentare alla memoria, svuotare il lògos della sua carica semantica, riproporlo come pura epifania, fantasma di contatto con il mondo.
E’ un declinare la soggettività, dunque, che non si concede il lusso dell’effusione, ma che si afferma come lucidità di coscienza: “Disegnare l’innominabile e nello stesso tempo sapere che è un’illusione, che esso non si lascia mai immobilizzare, rinchiudere, congelare. Tentare, essendo perfettamente coscienti della vanità del tentativo, del fallimento”. (24)
In una dimensione in cui il senso, unico possibile, è quello dell’intrinseca, energetica intensità dell’atto.

Novelli, Assorbimento dello iodio..., 1968, particolare
Scrivere
Tutto questo ha anche naturalmente, come vettore di consapevolezza, il dibattito intorno alla visività dello scrivere, alle mutazioni cui è sottoponibile e di cui si fa protagonista laddove insorga nella spazialità non convenzionale, ad altissimo grado di ambiguità, del luogo pittorico.
In effetti Novelli è anche partecipe del fenomeno, così come si manifesta nelle cronache degli anni Cinquanta-Sessanta in corollario alle poetiche del segno. E’ invitato fin dal ‘58 a mostre dedicate alla poesia visiva (o scrittura visuale ecc.), e non mancano nei suoi confronti neppure tentativi di catalogazione. (25) Addirittura in suo nome nasce una polemica tra Michel Ragon (che in una recensione della personale alla Galerie du Fleuve di Parigi, nel ‘61, scrive: “Il fait ce que les lettristes n’ont pas su réussir: donner une vertu plastique à ces signes, les incorporer à une vraie matière, à des couleurs senties”) e Isidore Isou, vate del lettrismo (che gli ribatte: “On voit bien plutôt que ton Novelli n’est ni un Picasso ni un Kandinsky, qui eux avaient un système, cubiste ou abstrait, dont ils ne pouvaient se passer au risque de tomber dans la platitude et l’anonymat” (26)
Al di là dell’aneddotica, l’episodio è importante come indicazione del disagio, avvertito in quell’area disciplinare, rispetto alla figura di Novelli: e della sua effettiva inattinenza a quell’ordine di questioni.
Ilpunto non è, evidentemente, se egli sia più pittore che lettrista, o troppo poco sistematico per giocare con gli alfabeti. E’ che la sua non è scrittura, in quanto configurazione oggettiva di segni, magari ottenuta pittoricizzando il verbale. E’ invece uno scrivere, la distillata osservazione del proprio far velocemente; la soddisfazione organica (corpo / corpo dell’immagine) al cospetto del raggiungimento del punto in cui l’agglomerato di segni trova la propria condizione di sistema: che non compie l’immagine, ma la fa esistere, di necessità. In questo scrivere è il punto chiave della perdita di memoria, di gabbia logica del dato. Nel gesto, nell’andamento della mano si concentra il senso primario del darsi del segno, che non cita, che non fa avvenire nient’altro che se stesso e le proprie facoltà qualificative.
Figure del possibile: sguardo (27)
A tal punto, la questione che si dà è di quale tipo di visività e di qualità pittorica si configuri, all’interno del lavoro di Novelli.
Che, fin dall’inizio, si ragioni di una nuova “storia dell’occhio”, che il Let me look che intitola un disegno del ‘66 parli di una sostanza di sguardo diversamente motivata rispetto alla norma, è ormai fuor di dubbio.(28)
Sistema di frammenti, a sua volta l’immagine si dà come frammento, capace di un universo visivo, ma in quanto infiniti sono gli universi visivi e linguistici possibili. La lettura, per coglierla, deve abolire ogni distanza convenzionale, immettervisi e sintonizzarsi ai ritmi e ai moti grafici e coloristici che le sono caratteristici. Da qui l’insussistenza di un problema dimensionale, dal foglio minimo alla carta o tela smisurata.
E’ comunque un passare, un percorrere, che rifà quello della mano e, a sua volta, si avverte, si riconosce.
Sia che si diano rapporti forti, e saturazioni cromatiche, e andamenti fratti, sia che si proceda per modulazioni ed eleganze e dolcezze d’accordo (lo svuotamento di condizione storica del segno consente, evitando ogni rischio di “confezione”, di svariare nella più estesa e fertile accezione di decorazione, con echeggiamenti da Klimt all’arte araba), ciò che importa è che lo sguardo sia sedotto e subito spiazzato, épaté rispetto alle proprie abitudini, indotto a un’azione sensoriale-mentale intensa e tesissima, sempre fuori norma. (29)
Figure del possibile: stile
“Il linguaggio figurativo non può essere un semplice gesticolare, né usare sistemi o strutture che gli siano estranee. La sua radice può essere arbitraria, ma esso deve essere retto da una precisa sintassi interna; il suo svolgersi (la ricerca, lo sperimentare) è logico, analizzabile, comunicante”. (30)
Intesa, come Manzoni circa negli stessi anni, come “area di libertà”, (31) la pratica della pittura si trova in una zona sospesa, esente da normative di genere di tipo tradizionale così come da ipotesi di marca progettuale.
Il modo di fare si riconosce nell’analisi, nella verifica di se stesso, nello scrutinio consapevole dei meccanismi di appropriazione e organizzazione dei frammenti visivi. (32) L’opera germina non sul piano della disciplina, ma dell’arbitrio: la disciplina mortificherebbe il gioco.
La disciplina implica prenozioni, uno schema “saputo”. Il gioco è un darsi regole omogenee ai materiali, necessarie in quanto permettono la partita, arbitrarie perché accettano di essere poste e contraddette in un ambito di pura artificialità e neutralità, in assenza di vocazioni significative: non a caso uno dei disegni più tipici di Novelli si intitola Le regole del gioco – Infinite partite. L’elementarità degli schemi di contestualizzazione adottati, che sono a loro volta topoi scrostati, smemorati, straniati nell’accelerazione inventiva, nasce da questo orientamento.
Alfabeto, catalogo, diagramma, sequenza ripetitiva con varianti, formule anagrammatiche e genericamente enigmistiche, trascrizioni automatiche sono i modi di “conoscere per dimenticare” (33) rispetto alla funzione discorsiva, logica.
Forme prime, forse, di un’affabulazione di qualità diversa dall’ordinaria (si pensi al continuo insistere, nel dibattito di quegli anni, sulla riformulazione pittorica dell’istanza narrativa, di racconto) (34) poggiata in toto sui propri ritmi, sulle proprie movenze, sui propri comportamenti, con un’analogia non gratuita con certe forme di improvvisazione musicale che Novelli ben conosce.
Figure del possibile: spazi
Stante la tipica visività della pratica di Novelli, strettamente coniugati ai comportamenti discorsivi dei materiali sono anche, come s’è già in parte accennato, quelli spaziali, procedenti in inscindibile sincronia.
Anche qui si dà corso a una serie di modalità topiche, variamente scardinate e reinventate, assunte e tradite, tra ad libitum e sintassi necessaria.
Visto il loro alto grado di varianza ed eventualità, non si può che tentarne, novellescamente, una sorta di catalogo. Avendo un’avvertenza di fondo. Che lo spazio “sono delle piccole strade per passare”, che la pelle del foglio non è un diaframma sul quale intrappolare il mondo, ma un mero luogo, un continuum, capace di concentrazioni e moltiplicazioni infinite, di infiniti percorsi. E’ lo spazio di una mappa mutante, land di viaggi e dinamiche di senso. Carta geografica, galassia, paesaggio (monte campo mare onda golfo luna sole…), griglia-casellario (in variante, schema di parole incrociate), spirale, labirinto, arabesco, disco di Phaistòs, gioco dell’oca, numerazione, tavola geometrica, tavola cromatica…
Estasi
E’ un gioco di fascinazione senza felicità. In fondo la felicità è troppo umana. C’è un punto in cui la frammentazione smagliante, la combustione del mondo coglie un assoluto d’intensità, di sospensione. L’estasi, in cui le parole, brulicare vanitoso, inciampano.
Note
1. L. Sinisgalli, Ventiquattro prose d’arte, Roma 1983, p. 97.
2. G. Novelli, Lettera a V. Carrain del 9 luglio 1968, in Gli scritti di Gastone Novelli, “Grammatica”, n. 5, Roma, maggio 1976, p. 111.
3. Cfr. a questo proposito G. Baratta, Segni per il futuro, in Gastone Novelli (a cura di Z. Birolli, catalogo, Galleria civica d’arte moderna, Torino, 1972, p. 31. Può aggiungersi, per riflessioni sintomaticamente consonanti, la lettura di E. Garroni, Mito e ragione: problema di una remitizzazione razionale, in Aspetti dell’arte contemporanea, catalogo, Castello Cinquecentesco, L’Aquila, 1963, pp. 229-244: soprattutto laddove si ragiona di “vitalissima impotenza” e “coscienza di essere qualcosa di fortuitamente importante, e di indefinibile nella sua importanza”.
4. G. Novelli, C’è della gente che lavora (1956-57?), in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 25; Discorso ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, ibidem, p. 27; Lettera a V. Carrain del 9 luglio 1968, ibidem, p. 111; Frammento, ibidem, p. 76.
5. Valga qualche indicazione. Marca-Relli, Guston, Rothko, De Kooning, Kline, Tobey (e Chet Baker, come Miles Davis jazzista gran frequentatore di pittori) hanno in quelle date soggiorni a Roma. All’Obelisco, nel 1957, mostre di Gorky, cui “Arti Visive” (n. 6-7, estate 1957) dedica un numero monografico, e poi Twombly e Rauschenberg. Nel marzo ‘58, retrospettiva di Pollock alla Galleria nazionale d’arte moderna. Alla Tartaruga, tra il ‘57 e il ‘60, mostre di Marca-Relli, Kline, Rothko, Rauschenberg, Twombly, oltre che di Jorn, Wols, Burri, Consagra, Afro, Brüning, Kounellis, Perilli, Novelli (gennaio ‘60) e altri.
6. L’indice dei quattro fascicoli usciti, fra il ‘57 e il ‘59, è rivelatore. N. 1: Incursions, poesia di Brouté dedicata a Miles Davis; Il segno nella scrittura giapponese di F. Maraini; Nuova figurazione per la pittura di Perilli; Paul Klee di Ponente; scritti di Klee tradotti da Novelli; discorso sul formalismo di Mejerchol’d. N. 2: scritti di Schwitters; Turcato di Vivaldi; Wols di Ponente; Documenti di una nuova figurazione di Scialoja, Novelli, Alechinsky, Perilli, Twombly. N. 3-4: testi di e su Arp; Les espaces imaginaires de la peinture d’aujourd’hui di Restany; Perilli di Ponente; Nuova figurazione nella giovane arte italiana di Vivaldi; Documenti di una nuova figurazione di Boille, Bryen, Capogrossi, Viseux, Bertini, Vandercam, Sterpini, Lacomblez; Problemi della musica contemporanea di Berio, Clementi, Fellegara. N. 5: La pittura informale in Spagna di Cirlot; Fontana di Ponente; Tre pagine di giornale 1958 di Scialoja; Ancora sulla “nuova figurazione” di Vivaldi; Documenti di una nuova figurazione di Corpora, Platschek, Götz, Hérold, G. Pomodoro. Tra gli artisti di cui si pubblicano illustrazioni sono anche Accardi, Marca-Relli, Man Ray, Rotella, Ernst, Kandinsky, Kline, Picabia, César, Gaul, Saura, Tàpies. Cfr. anche L’Esperienza moderna, catalogo, Galleria Marlborough, Roma, febbraio 1976.
7. C. Cagli, G. Novelli, numero unico di “Dimensione”, Roma, ottobre 1956.
8. Cfr. al proposito il fondamentale Z. Birolli, L’uomo-coyote, in Novelli, cit., pp. 11-31, che costituisce il riferimento di base per le riflessioni che si vanno conducendo.
9. G. Novelli, Inchiesta sul surrealismo (1966 ?), in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 88 e altrove.
10. La cui importanza può desumersi, in veste riassuntiva, nell’inchiesta Cultura del simbolo in Italia che R. Giorgi pubblicherà in “Marcatré”, n. 19-22, Milano, aprile 1966, pp. 335-342, e n. 30-33, Milano, luglio 1967, pp. 208-220.
11. Cfr. Z. Birolli, L’uomo-coyote, cit. pp. 19-27.
12. G. Novelli, La creazione di un’opera plastica, catalogo, Galleria La Salita, Roma, 15-26 aprile 1957; Analizzare il processo creativo, in Documenti di una nuova figurazione, in “L’Esperienza Moderna”, n. 2, Roma, agosto-settembre 1957, p. 26.
13. G. Novelli, Roma 1958, in “L’Esperienza Moderna”, n. 5, Roma, marzo 1959, p. 13. Cfr. anche F. Bartoli, Il vuoto e lo sguardo, in Novelli, cit., pp. 39-40.
14. “Se stendo le braccia intorno e mi domando dove sono le mie dita – ecco, ho tracciato lo spazio che basta a un pittore”: W. De Kooning, in The New American Painting, catalogo, Galleria civica d’arte moderna, Milano, 1-30 giugno 1958, p. 54.
15. Cfr. Novelli, cit., p. 197. Sulla “biologie de l’acte d’écrire, peindre, dessiner” e sulla “qualité phisique” della pittura di Novelli, cfr. R. De Solier, Forêt d’écritures, in Novelli, cit., pp. 35-43. Comparativamente si leggano certe coeve riflessioni di T. Scialoja: “Il nostro corpo interviene… ma direttamente, come misura e presenza vitale, consistenza e struggimento temporale… Perché sarà il gesto, un moto del nostro corpo, il respiro, a creare direttamente la forma” (Tre pagine di giornale 1958, in “L’Esperienza Moderna”, n. 5, Roma, marzo 1959, p. 16). Lo stesso Scialoja altrove (1961) parla di “corpo-tempo”: in Toti Scialoja. Opere su carta, catalogo, Galleria civica d’arte moderna, Palazzo Te, Mantova, giugno-luglio 1979, p. 13.
16. E’ importante osservare come assai precocemente si fossero intuiti i rischi retorici, di “genere” surrettizio, della “poetica del muro”: G. Ballo, Novelli, catalogo, Galleria dell’Ariete, Milano, 17 marzo 1959.
17. G. Novelli, Scritto sul muro, edizione grafica de “L’Esperienza Moderna”, Roma, gennaio 1958.
18. A. Perilli, Nuova figurazione per la pittura, in “L’Esperienza Moderna”, n. 1, Roma, aprile 1957, p. 10. Tien conto citare anche un passo di P. Restany, Les espaces imaginaires de la peinture d’aujord’hui, in “L’Esperienza Moderna”, n. 3-4, Roma, dicembre 1957, p. 10: “L’espace c’est le milieu agonique par excellence, la zone des tensions et de résonances privilégiée, le lieu géométrique des négations élémentaires, à la fois forme et non-forme, sens et non-sens”.
19. G. Baratta, Segni per il futuro, in Novelli, cit., p. 25.
20. Dopo un periodo di gestazione la rivista – redattori Giuliani, Manganelli, Novelli, Perilli – esce nel novembre ‘64 con il n. 1. Successivamente appariranno il n. 2 nel gennaio ‘67, il n. 3 nel luglio ‘69 (progettato nell’autunno ‘68 ancora da Novelli e Perilli, contiene il testo di Novelli Dipingere è anche esprimere per segni), il n. 4 nel settembre ‘72, il n. 5 nel maggio ‘76 (a cura di Perilli, Gli scritti di Gastone Novelli).
21. G. Novelli, Frammento, in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 76.
22. La carne è l’uomo che crede al rapido consumo, in “Grammatica”, n. 1, Roma, novembre 1964, pp. 1-7; G. Novelli, Pittura procedente da segni, ibidem, pp. 10-11.
23. Cfr. Z. Birolli, L’uomo-coyote, cit., pp. 14-15. Nello stesso volume, cfr. anche L. Ballerini, Verificare per ex: l’ “ermetica” scrittura di Gastone Novelli, pp. 32-37.
24. C. Simon, Novelli e il problema del linguaggio, in
Gastone Novelli, catalogo, Alan Gallery, New York, 1962, poi in “Il Verri”, a. VIII, n. 7 n.s., Milano, febbraio 1963, p. 65. Cfr. anche L. Ballerini, La piramide capovolta, Venezia 1965, pp. 83-84.
25. Per esempio A. Robin, Essai d’histoire comparée du lettrisme, de l’informel-à-signes et de quelques peintres à signes indépendants (con una prefazione di M. Tapié), in La lettre et le signe dans la peinture contemporaine, catalogo, Galerie Valérie Schmidt, Paris, 9 gennaio 1963, lo elenca tra i “peintres à signes indépendants” con Hains, Villeglé, Bryen, Copley, Gaul e Gysin.
26. In “Poésie Nouvelle”, II supplément au n. 17, Paris, ottobre-dicembre 1961. Della recensione di Ragon esiste un ritaglio senza indicazioni di provenienza nell’Archivio Jvan Novelli.
27. Cfr. G. Baratta, Segni per il futuro, cit., p. 27: “Tutto il discorso teorico e pittorico di Novelli si muove retoricamente sull’argomento del possibile”.
28. Tien conto rileggere una contemporanea riflessione di A. Perilli, Le ragioni narrative della pittura, in “Il Verri”, a. VIII, n. 10 n.s., Milano, ottobre 1963, p. 140: “Il quadro, nella situazione che stiamo esaminando, non richiede una visione diretta, ma divergente; pretende tempi rapidi alternati ad osservazioni lentissime”.
29. “L’occhio che osserva il vostro assemblage vi si muoverà ‘pascolando’ dall’alto in basso, da sinisita a destra ed in qualunque direzione SIA ATTRATTO. In questo modo l’occhio, passando dai valori che lo attirano in un primo momento a quelli che lo attireranno o respingeranno in momenti successivi, stabilirà uno o più percorsi all’interno dell’assemblage. La leggibilità, la ‘qualità fantastica’ e nello stesso tempo la chiarezza di questi percorsi costituiranno il VALORE VISIVO della costruzione che avrete fatto”: G. Novelli, Categoria di giudizio e lettura di una aggregazione nello spazio (1966), in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 98. Sul complesso dei materiali didattici da lui elaborati, da cui traspaiono molte utili indicazioni, cfr. le pp. 93-104.
30. G. Novelli, Il linguaggio e la sua funzione (1968), in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 46.
31. P. Manzoni, Prolegomeni per un attività artistica (1957), in G. Celant, Piero Manzoni, Milano, 1975, p. 74 e altrove.
32. “Il linguaggio, a mio avviso, è semplicemente organizzazione. Di niente. Organizzazione di se stesso”(La carne è l’uomo che crede al rapido consumo, in “Grammatica”, n. 1, cit., p. 1). “Lo spirito analitico è umwelt erleben, percepire, sperimentando, ciò che circonda, è immaginazione, si rivela nella scelta di cose da osservare, e nella capacità di ricorrere anche a soluzioni che vanno al di là delle regole” (G. Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 46).
33. G. Novelli, Corso preparatorio (1951-54?), in “Grammatica”, n. 5, cit., p. 95.
34. Che giunge fino all’attenzione estrema portata al “genere” del fumetto, cui, in maniera molto tipica, contribuisce pure Novelli con Nel cieco spazio, realizzato con Giuliani in “Grammatica”, n. 1, Roma, novembre 1964; I viaggi di Brek, in “Metro”, n. 13, Venezia, febbraio 1968, pp. 200-225, e altri.