Ettore Colla, catalogo, Galleria L’Isola, Roma, novembre – dicembre 1983

Prelievo oggettuale, ricostruzione per stratifica­zioni di senso, risemantizzazione a forte gra­diente simbolico –  fino a tangenze di allusività – e antinaturalismo spaziale marcato, come cemen­tato nelle sincopi di quei nodi, di quegli incastri, presenza di materia greve che inscheletrisce il nitore dei costrutti.

Tra morfologie e lacerti meccanici, il discorso su Colla è sempre lì, incanalato lungo i binari eccellenti tracciati da Emilio Villa.

I vettori interni, e ancor più le aderenze di clima, le gravitazioni vacanti di Colla, son tutti ben in chiaro, in una bibliografia fuor di dubbio tra le più fortunate e sostanziose del dopoguerra.

Ma una zona d’ombra – meglio, penombra ­forse, rimane, e riguarda un aspetto nient’affatto trascurabile, anzi, probabilmente rivela­tore dell’ormai mitizzato ‘nuovo corso’ di Colla, in quel volgere iniziale degli anni Cin­quanta: la funzione dei rilievi nel concertarsi e nel riflettersi della sua logica formale.

C’è uno iato importante, è ormai ampiamente assodato, tra 1’esaurirsi del Colla entre deux guerres e quello, rivitalizzato e consapevole, di Origine e dintorni. Un abbandono, addirittura, della pratica, in favore di un appartato romitag­gio pittorico (e grafico).

Come se l’artista fosse giunto a un terminale, al punto da verificare e confessarsi, alfine, l’inca­pacità, e più l’impossibilità generale e radicale, a far scultura senza far statua, a recidere quel nesso che in Arturo Martini si era teso fino a farsi coscienza drammatica.

E avesse ben chiaro, allo stesso tempo, che vie d’uscita erano possibili solo a patto di un drastico cambio di passo e piano, in termini proble­matici ed espressivi.

Ecco dunque la pittura –  esperita in realtà reattivamente, non alternativa consolatoria ma mera zona franca dall’impasse tridimensionale – e in maggior grado il rilievo (penso a Assedio, a Svolgimento, a Rilievo n. 1 per esempio) farsi luoghi di questa estrema ostinata concentra­zione e scarnificazione. In cui filtrano Balla e i neoplastici, gli astratti lombardi e il MAC (e per questi tramiti, l’antica filigrana di spazio ­superficie che risale al cubismo), ma in cui, soprattutto, Colla riannoda a fondo i fili di una consapevolezza plastica diversamente orientata. Uno spazio senz’aria, confinato, che rigetta ten­tazioni e distrazioni psicologiche metaforiche o altro, chiuso com’è nella propria frontalità, dis­ponibile solo a darsi un ordine scandito compo­sitivamente per linee, per articolazioni.

Come una pagina, ma solida, una pagina la cui scrittura è già scultura.

Colla, Svolgimento, 1951

Colla, Svolgimento, 1951

Del resto, per quanto i riferimenti (ogni riferi­mento, in fondo) siano assai relativi, cos’altro sono, se non proprio pagine di scultura, i cementi di Fontana e i gessi di Melotti degli anni Trenta?

E pure, non è né impertinente né casuale che lo stesso Fontana, proprio nel volgere del 1949-50 esaurisca in pure temperature le proprie figure ceramiche e prenda a lavorare sulla spazialità altra dei Concetti. E tantomeno che Umberto Milani, nel medesimo volgere di mesi, proprio attraverso rilievi e grafie risolva l’analoga crisi di crescenza post-martiniana.

Sono ragionamenti, questi, che una storia non mitografica della scultura recente dovrà pur cominciare ad affrontare, un giorno.

Qui, in Colla, tutto ciò assume un senso che sa di scelta di fondo. Il rilievo non è un transito. Ri­mane, costante, a far quasi da parametro alla riemergenza scultorea, a un modo di toccare e guardare e vivere il materiale, la forma.

Colla non disegna.

Semmai, la sua scrittura si organizza (ma rara­mente, in termini di catalogo) in collage. E nel rilievo, appunto.

Il comporre è lento, fatto di decantazioni medi­tative. Non si riflette come artigianato o tecno­logia o altro. Le scorie patetiche del residuato metallico si perdono così, a furia di guardarle, a

furia di pensarne un’evidenza alleviata di tra­vasi emotivi.

La ruvida presenza quantitativa del metallo ugualmente si filtra, nel clima mentale dello studio, riemerge per trame di qualità proprie (rugosità, colore, opacità, gravità, durezza, forza, …) e di comportamenti (nodo, incastro, spigolo, sovrapporsi, accumularsi, …).

Memorie fisiche che si trascrivono in fisiologia della scultura: senza esibirsi ma senza tradirsi. Senza volume, senza spazio, senza tempo. Lì. Per avvertimenti e rapporti minimi, venati magari d’ironia, ma sempre netti, emblematici.