Spaziali a Milano, catalogo, Arte & Arte, Bologna, 13 ottobre 2001

Il 24 novembre 1946 Lucio Fontana  scrive all’amico Tullio d’Albisola: “Ho lanciato un manifesto bianco, si polemizza sull’Arte… L’Arte Spaziale, Marinetti, Sant’Elia, Boccioni sono gli assoluti precursori!!!” (1). Partito dall’Italia per la nativa Argentina all’inizio della guerra mondiale, Fontana è in questo momento, in qualità di ispiratore del Manifiesto blanco, sottoscritto dai suoi allievi dell’Accademia Altamira, l’autore che più esplicitamente fa riferimento al futurismo come chiave per un’arte che trascenda i limiti storici, concettuali prima ancora che tecnici, dell’idea di opera.

Rientrato in Italia nel marzo 1947, l’artista si pone al centro di una fitta trama di relazioni artistiche delle quali egli è, per certi versi, ispiratore, e per altro patrono morale. Il suo dire di arte e concetti spaziali, il suo praticare allo stesso tempo la centralità dell’opera e la pluralità estrema dei mezzi, che conduce nel 1949 all’episodio altissimo dell’Ambiente Spaziale con forme spaziali e luce nera alla Galleria del Naviglio, schiude sul panorama italiano prospettive concettuali, oltre che sperimentali, finalmente inedite rispetto alla pur infuocata, ma già intimamente scolorita, querelle tra figurare e astrarre.

D’altro canto, proprio il suo straniato pensare avanguardia lo induce a un’attenzione non meno orientata nei confronti della generazione giovane (2), una parte cospicua della quale prende stabilmente a erigerlo a figura carismatica di garanzia delle proprie avventure estetiche.

E’ da questa premessa che occorre partire per comprendere la vicenda dello Spazialismo, soprattutto nella sua declinazione milanese: in una Milano, s’intende, crocevia del dibattito internazionale tutto, in una stagione di formidabili energie intellettuali (3).

Numerose, e compiute, sono le ricostruzioni storiche e documentarie di quella temperie (4), tali da consentire di muovere da cronistorie accertate verso orizzonti diversi di riflessione e di analisi.

Carlo Cardazzo

Carlo Cardazzo

In primo luogo, una valutazione anche superficiale della cronologie porta a constatare che, seppur corretto è considerare l’avvio della vicenda spazialista dal manifesto argentino di Fontana, o al più dal suo ritorno a Milano (5), è peraltro vero che ciò è possibile solo in termini generali. Dal punto di vista delle aggregazioni artistiche, occorre attendere il 2 aprile 1950 per trovare tra i sottoscrittori dei manifesti Roberto Crippa, e il 26 novembre 1951 per poter dire effettivamente di una compagine di artisti: Anton Giulio Ambrosini, Giancarlo Carozzi, Roberto Crippa, Mario Deluigi, Gianni Dova, Lucio Fontana, Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, Vinicio Vianello.

Sino a quel momento, prestigiose sono le firme dei redattori e dei firmatari dei manifesti, da Beniamino Joppolo a Antonino Tullier, Giorgio Kaisserlian, Milena Milani, Giampiero Giani, Carlo Cardazzo: ci troviamo dunque di fronte a un movimento che si dice artistico ma che, all’incubare, si coagula attorno alle posizioni e all’opera di un unico autore, attorniandolo di una rosa di personalità intellettuali diverse, svarianti dalla letteratura all’imprenditoria artistica.

Proprio Cardazzo, gallerista tra Milano e Venezia (6), nelle Note sullo Spazialismo premesse a una serie di mostre del 1953, stabilisce al 1947 la nascita del movimento, e tiene a sottolineare che il Manifesto spaziale per la televisione, maggio 1952, è firmato da pittori, scultori, scrittori e filosofi, ponendosi dunque alla base “di una nuova estetica; di una nuova vita” (7).

Se si collegano tali elementi alla presenza sempre più costante di Sebastian Matta nelle mostre spazialiste (già nel 1952 è in Sei artisti spaziali al Cavallino con Capogrossi, Crippa, Dova, Joppolo e Peverelli); che ai primi di marzo 1952, giusto al chiudersi della prima mostra di Arte spaziale al Naviglio, si inaugura all’Associazione Amici della Francia di Milano una collettiva comprendente Seligman, Matta, Crippa, Aldrovandi, Donati, Peverelli, Deluigi, Fontana, Giancarozzi, Joppolo, Dova, introdotta da Kaisserlian (8); e che già nel 1950, in occasione della personale di Gian Carozzi al Naviglio, Joppolo proponeva una lettura in chiave esplicitamente surreale (9); se si collegano, dunque, tutti questi elementi, non si può non dedurre con forte ragionevolezza che ci troviamo di fronte al progetto lucido di ricostituire, sul modello delle avanguardie ritenute più cospicue del secolo, Futurismo e Surrealismo, un movimento di respiro internazionale che abbia le caratteristiche esteriori di quelli: un forte riferimento carismatico, un’ampia apertura extradisciplinare che lo faccia leggere come atteggiamento filosofico ed esistenziale in luogo che che stilistico, forti capacità organizzative e di proselitismo, eccetera.

Prima il movimento, in brusca sintesi, poi gli artisti. Artisti, i quali si pongono all’ombra di Fontana, più che farsene effettivi seguaci. Non si può non notare, ad esempio, che nonostante il magistero conclamato del genio sperimentale la produzione di tutti i comprimari, gli emuli, i cooptati (10) si mantiene rigorosamente all’interno della disciplina pittorica, con un massimo di escursione concesso al polimaterismo e alle esperienze di “integrazione delle arti” promosse dalle Triennali.

Manifesto spaziale per la televisione, 1952

Manifesto spaziale per la televisione, 1952

Per comprendere questo aspetto, soccorre una notazione che proviene da lontano. Scrive Colette Becker a proposito della vicenda da cui nasce nel 1880 il memorabile libro collettivo Les soirées de Médan: “plus qu’une école, ces écrivains, tous édités par Charpentier, l’éditeur et ami intime de Zola, forment ce qu’on pourrait appeler une ecuerie” (11). Zola il caposcuola, il riferimento a Médan, la casa dello scrittore che fa da cenacolo intellettuale, un libro scandaloso che provoca polemiche e stroncature, così da consentire agli autori una fitta messe di repliche, interventi, precisazioni d’amplificazione promozionale. Ma soprattutto una ecuerie, una scuderia, in cui conta assai più delle singole vocazioni e dei singoli profili espressivi la comune appartenenza a una impresa editoriale. Anche questo, si sa, è sostanza fondante, da valutare non moralisticamente, della vicenda dell’avanguardia (12).

Ebbene, leggere la vicenda dell’aggregazione spazialista da questo punto di vista, come la geniale intuizione di Carlo Cardazzo, che attorno al suo Zola coglie avvertibili brividi climatici per aggregare una compagine di talenti assai promettenti – i quali, in ogni caso, realizzano prodotti scandalosi concettualmente, ma in re perfettamente riconoscibili e amministrabili in quanto quadri – e ne amplifica la fama, la desiderabilità, con tattiche perfette di incidenza culturale e insieme mondana, è comprendere quanto di strategia, di intenti eteronomi ma necessari, intessa la storia delle forme nel secolo delle avanguardie. E significa, anche, riconoscere il giusto peso e la giusta responsabilità intellettuale a una figura, quella del mercante, che troppi decenni di moralismi ideologici hanno relegato in posizioni equivoche.

Non Fontana, dunque, ma Cardazzo è lo Spazialismo. Meglio, c’è lo Spazialismo di Fontana, e il Movimento Spaziale raccolto intorno a Cardazzo, intrecciati ma in sostanza distinti. Poi, sa bene lo stesso gallerista, così come sapeva Charpentier decenni prima, qualcuno dei giovani virgulti diverrà un Maupassant e qualcun altro un Céard: non è ciò che conta. Conta che la visibilità, sino alla sovraesposizione magari, del momento, sia in grado di infliggere al dibattito una scossone comunque vitale, di produrre un fervido disordine creativo, e in qualche modo di stabilire uno spazio vitale di attenzione intorno alle emergenze nuove.

Le esperienze nostrane di Corrente, del Fronte nuovo delle arti, del M.A.C., di Forma, a ben vedere hanno mostrato due limiti precisi, l’assenza di una grande, individuata figura di riferimento, e capacità di gestione manageriale, entro l’ambito mondano dell’arte, della posizione assunta. La stessa esperienza  nucleare, per molti versi incrociata con quella spazialista, nella prima stagione – e fino all’assunzione di responsabilità operativa da parte di Arturo Schwarz (13) – è da ascrivere a tale profilo. Tali esperienze rappresentano la transizione dei tempi difficili. Ora il registro muta. Lo dicono molteplici segni, in Italia e nel mondo.

La mostra Arte spaziale, 120°  della Galleria del Naviglio, si tiene dal 23 al 29 febbraio 1952. Nelle stesse settimane e mesi Michel Tapié fa uscire Un art autre e cura da Facchetti a Parigi Signifiants de l’informel (14), Harold Rosenberg delimita l’area di The American Action-Painters (15), Guy Debord lancia l’Internationale Lettriste (16). In Italia Lionello Venturi pubblica Otto pittori italiani, ratificando il gruppo astratto-concreto (17) e Raffaele De Grada raccoglie le file dei realisti intorno al carisma di Guttuso nella rivista “Realismo”.

Dova, Relitto sulla sabbia, 1951

Dova, Relitto sulla sabbia, 1951

Non sono sufficienti, ben intuisce Cardazzo, le vaghe solidarietà come quelle già variamente intercorrenti tra Crippa, Dova, Peverelli, amici ma pencolanti sino a quel momento tra ambiguità postcubiste e astrazione geometriche puramente esercitate. Occorre una gabbia avanguardistica forte che quelle pitture renda incisive nel gioco delle posizioni intellettuali.

Già nel 1951 Kaisserlian, presentando la mostra della Raccolta internazionale Schettini, suggeriva la “volontà di scendere sino a quello spazio senza spazio ove nascono esseri e cose” da parte di artisti che “in forme inedite e librate nello spazio precorrono la struttura e la materia delle tecniche artistiche di domani” (18). Né vale che, sia pure con intenti svalutativi di marca politica, De Micheli ben notasse di quella mostra “Crippa, Dova, Peverelli, Donati, i quali ultimi quattro hanno, ci sembra, inaugurata una ‘nuova’ maniera che potrebbe chiamarsi spettroscopica in quanto con la spettroscopia ha talune somiglianze. Non si può dire però che ne abbia altrettante con la pittura” (19); né che, di lì a un mese, lo stesso De Micheli ribadisse con ancor maggiore chiarezza: “E allora questi artisti, questi critici intendono forse fare l’elogio del vuoto, dello sfacelo, del caos? E va bene. Però non veniteci a dire che siete dei ‘rivoluzionari’. Siete semplicemente dei disertori” (20).

Queste esperienze si perderebbero, è l’intuizione di Cardazzo, nella trama fluente di posizioni volontaristiche che si agita in quei mesi, mentre sempre più chiari sono i sintomi di aggregazioni forti, precisate, solide anche sul piano dell’organizzazione. Eccolo dunque assumere al suo Spazialismo quelle forze, nulla più che climaticamente compatibili ma qualitativamente assai promettenti, garantendole con il prestigio indiscusso, per meriti pregressi e scandalo attuale, di Fontana, e con la precocità temporale d’un movimento che per data, addirittura la fine del 1946 se l’avvio è il Manifiesto blanco argentino, si accredita in perfetta apertura di dopoguerra. Nel febbraio 1948 una circolare ancora indicava promotori del movimento spaziale Birolli, Fontana, Munari, Reggiani, Sassu, tra i pittori (21). Era un altro clima culturale, altri erano i riferimenti carismatici occorrenti. Alla fine del 1951, con tempismo formidabile, Cardazzo stringe un gruppo di giovani, ovviamente tra Milano e Venezia, e ne fa la task force pittorica dello Spazialismo.

E’ mossa strategicamente limpida. E che si tratti di strategia ben collegata ai termini del dibattito per posizioni che va delineandosi, è detto dai temi affrontati da Joppolo nel testo introduttivo ad Arte spaziale. Lo Spazialismo, si legge, è insieme congenere e altro sia rispetto al realismo, sia all’astratto-concretismo. Dell’uno si nutre dell’attenzione alle “esigenze dell’uomo socialista”, dell’altro della matrice astratta, pur nella consapevolezza nuova che  “numero e forma si sono spostati dalla elementarità di enunciazione di Pitagora e di Euclide, arrivando alla frazione, all’infinitesimale, al sublime, alla disintegrazione, alla sostanza inaspettata, alla presenza di leggi cosmiche” (22).

Sapiente è la presentazione grafica, la foto di gruppo già consapevole d’essere storica, la capacità di attizzare reazioni con le cui limitatezze poter polemizzare.

“Queste idee spaziali commentano una  mostra dove ben poche sono le cose che esprimono concetti non ancora resi formule. Talune sono addirittura formule vecchiotte e per di più intristite dalle preziosità incidentali e dai manierismi più stupefacenti”; “Confessiamo senza vergogna di non capir gran che della teoria del movimento, dalle opere che abbiamo veduto, e che non si levano da una moderna banalità”, si legge nei quotidiani del tempo (23). Bene così. Contano assai più le grandi foto, su quelle stesse pagine. Conta l’alone sulfureo, intellettuale e caratteriale, che circonda i nuovi Jungen, che fa notizia dei loro stessi comportamenti. Conta che nel dire del milieu il termine “spazialista” prenda ad essere usato in accezione lata, colloquiale, per indicare in genere l’avanguardia tout-court e l’esoterismo che l’accompagna, proprio come era accaduto a Futurismo e Surrealismo (ed è, non casualmente, il momento del ritorno in circolo il Dada).

Peverelli, Composizione, 1950

Peverelli, Composizione, 1950

Nel 1956 questa attività continua, precisa, di espansione e consolidamento dello Spazialismo, per molti versi prescindente dalle stesse opere che esso assume a rappresentative, è a un raggiungimento definitivo. Esso si incarna nel libro di Giani Spazialismo, ancora pietra di costruzione dell’edificio spazialista ma già, anche, monumento, e nella serie fitta di mostre che dovunque lo presentano.

Recensendo libro e mostre Valsecchi ragiona, con cordiale attenzione ma assai lucidamente, non solo sulla fraseologia utilizzante  “termini che ci richiamano da vicino i primi Futuristi del 1910”, e anche sull’aver suggerito un “moto concorde di acerbe aspirazioni” nel “battezzare con una etichetta quelle diverse confluenze, quelle differenti personalità di giovani e di anziani”. “Forse la fretta ha avuto troppo margine”, conclude Valsecchi, di fronte a quella che legge come “una genericità confusionante che, se lascia intatto il valore di ciascuno degli espositori, però minaccia troppo gravemente la consistenza del movimento in cui si sono riuniti, fino a gettare un sospetto di superficialità” (24).

Di tutto ciò è perfettamente consapevole anche lo stesso Cardazzo, che di lì a poco lascerà trascolorare il gruppo – già “storia”, dunque non più cronaca – per concentrarsi proprio sui singoli valori, Fontana e Capogrossi, Crippa e Scanavino. La nuova generazione d’altronde, annunciata al Naviglio nel 1958 dai fratelli Pomodoro, e l’anno dopo da Adami, per non dire della precocissima personale di Jasper Johns, va premendo: nuova cronaca, futura storia.

Note

1. D. Presotto (a cura di), Lettere di Lucio Fontana a Tullio d’Albisola (1936-1962), Liguria, Savona 1987. Il Manifiesto blanco è firmato dagli argentini B. e P. Arias, Benito, Bernal, Burgos, Cazeneuve, Coll, Fridman, Hansen, Rocamonte.

2. Su questi aspetti cfr. soprattutto E. Crispolti, Traccia per l’opera di Lucio Fontana, in Lucio Fontana, vol. 1, La Connaissance, Bruxelles 1974; B. Blistène (a cura di), Lucio Fontana, catalogo della mostra, Centre Pompidou, Parigi, 1987; F. Gualdoni (a cura di), Fontana, catalogo della mostra, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1994. Cfr. inoltre L. Fontana, Lettere 1919-1968, a cura di P. Campiglio, Skira, Milano 1999.

3. F. Gualdoni (a cura di), Milano 1950-1959. Il rinnovamento della pittura in Italia, catalogo della mostra, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1997. F. Gualdoni – P. Campiglio (a cura di), Lucio Fontana e Milano, catalogo della mostra, Electa, Milano 1996; F. Gualdoni – S. Mascheroni (a cura di), Miracoli a Milano. 1955/1965. Artisti gallerie tendenze, catalogo della mostra, Museo della Permanente, Milano, 2000.

4. La ricostruzione più vasta e puntuale è E. Crispolti et aa. (a cura di), Fontana e lo Spazialismo, catalogo della mostra, Città di Lugano, Lugano, 1987. Cfr. inoltre F. Lanza Pietromarchi (a cura di), La pittura spaziale e nucleare a Milano 1950-1960, catalogo della mostra, Galleria Bergamo, Bergamo, 1997. Cfr. inoltre T. Toniato (a cura di), Spazialismo a Venezia, catalogo della mostra, Mazzotta, Milano, 1987; T. Toniato e D. Marangon (a cura di), Spazialismo, catalogo della mostra, Nuovi Strumenti, Brescia 1989; E. Guigon (a cura di), Automatismos paralelos: la Europa de los movimientos experimentales 1944-1956, catalogo della mostra, Centro Atlantico de Arte Moderno, Las Palmas de la Gran Canaria, e Sala de Exposiciones de la Comunidad, Madrid, 1992; D. Marangon, Spazialismo: protagonisti, idee, iniziative, Pagus, Quinto di Treviso 1993; P. Sega Serra Zanetti, Arte astratta e informale in Italia (1946-1963), Clueb, Bologna 1995; M. Corgnati (a cura di), Arte a Milano 1946-1959. Il Movimento Spaziale, catalogo della mostra, Credito Valtellinese, Sondrio, 1998.

5. Un fitto dibattito filologico si è svolto intorno alla questione della cronologia dei manifesti: i punti salienti ne sono G. Giani, Spazialismo, Edizioni della Conchiglia, Milano 1956; T. Sauvage (A. Schwarz), Pittura italiana del dopoguerra (1945 – 1957), Schwarz, Milano 1957; e E. Crispolti, 1987, cit. Basti, in questa sede, considerare che la datazione del primo manifesto al 1947, come annunciato originariamente da Giani, in ogni caso corrisponde perfettamente all’attenzione per le datazioni e per il primato cronologico, tipica dell’atteggiamento strategico del gruppo.

6. La galleria veneziana del Cavallino e quella milanese del Naviglio, facenti riferimento a Cardazzo (così come la Selecta a Roma), sono, in questi anni, tra i più autorevoli luoghi sia di riproposizione delle avanguardie del passato, sia di presentazione delle nuove correnti internazionali: del 1950 è una personale di Jackson Pollock.

7. C. Cardazzo (a cura di), Artisti spaziali, catalogo della mostra, Galleria del Calibano, Vicenza, 2 giugno 1953 (espongono Bacci, Capogrossi, Crippa, Deluigi, De Toffoli, Donati, Dova, Fontana, Guidi, Matta, Gino Morandi, Peverelli, Tancredi, Vinicio). Testo identico introduce Sei artisti spaziali. Capogrossi Crippa Dova Fontana Matta Tancredi, catalogo della mostra, Galleria Pro Arte, Lugano, 1953. E’ da notare che Cardazzo indica quello del maggio 1952 come “sesto manifesto”: facendo dunque originare la nascita dell’intero movimento al manifesto argentino. In Spazialismo, catalogo della mostra, Galleria del Naviglio, Milano, 1956, scriverà: “I ‘Manifesti’ che furono sottoscritti dal 1947 al 1952 sono già storia”.

8. Sull’elenco effettivo dei partecipanti, assai probabilmente aumentato dopo la messa in stampa del pieghevole, sussistono dubbi irrisolvibili: in C. Peverelli, Autobiografia, in Peverelli 1941 – 1972, catalogo della mostra, Sala delle Cariatidi, Palazzo Reale, Milano, 1972, si legge che “nel 1952 con Crippa grazie alla collaborazione di Jolas organizzo una mostra surrealista agli Amici della Francia. Otto Microbes di Max Ernst, la Valigia di Duchamp, Matta, Lam, Brauner, Magritte, Seligman, Donati più Crippa, Dova e Peverelli”. Visti gli intensi rapporti mercantili intrattenuti da Crippa e Peverelli con Alexandre Jolas in quel tempo, la testimonianza è da considerare sostanzialmente attendibile.

9. F. Gualdoni (a cura di), Gian Carozzi 1949-1955, catalogo della mostra, Palazzo Civico, Sarzana, 2000.

10. Strategica è l’assunzione di Matta in seno al movimento, tanto quanto sono, in diverse occasioni,  quelle di figure diversamente carismatiche, da Capogrossi e Burri, protagonisti del gruppo Origine, considerato potenzialmente integrabile, a Guidi, vero maestro e tralent-scout di giovani tra Venezia e Bologna. “Sarebbe un’assurdità affermare che eravamo spazialisti. Lo spazialismo appartiene a Fontana e basta. Non so spiegarlo ma credo che, sia per me che per tutti gli altri, la visione dello spazialismo fosse legata a una sorta di ammirazione e adesione per qualcuno, come Lucio, più vecchio di noi, che sconvolgeva le regole della buona pittura”: così testimonia Peverelli, Un Milanese a Parigi, in “Bolaffi Arte”, III, 24, Torino, novembre 1972..

11. C. Becker, Introduction, in Les soirées de Médan, Parigi 1981. Il libro raccoglieva racconti di Alexis, Céard, Hennique, Huysmans, Maupassant, Zola, tra i quali memorabile è Boule de suif, che rivela il genio di Maupassant.

12. Ho svolto riflessioni in tal senso in Il trucco dell’avanguardia, Neri Pozza, Vicenza 2001. Non a caso Cardazzo dichiara che un mercante “credo che faccia esattamente quello che fa un editore in un altro campo” (L’opinione di Carlo Cardazzo in un’intervista, in “Domus”, 395, Milano, ottobre 1962), evocando la tradizione alta dell’intellettuale-imprenditore.

13. Fondamentale è in tal senso T. Sauvage, Arte nucleare, Schwarz, Milano 1962. In generale G. Anzani (a cura di), Arte nucleare 1951-1957. Opere testimonianze documenti, catalogo della mostra, Centro San Fedele, Milano, 1980. Arturo Schwarz, poeta, saggista, editore, apre la sua galleria d’arte a Milano nel 1954, promuovendo in specie il dada-surrealismo, il nuclearismo e il gruppo del Bauhaus Immaginista: cfr. A. Giulivi – R. Trani, Arturo Schwarz. La galleria 1954-1974, Mudima, Milano 1995.

14. M. Tapié, Un art autre, Gabriel-Giraud et Fils, Parigi 1952.

15. H. Rosenberg, The American Action-Painters, in “Art News”, 51, dicembre 1952.

16. A. Jappe, Debord, Tracce, Pescara 1993. In generale cfr. J.-J. Raspaud – J.P. Voyer, L’Internationale Situationniste, Champ Libre, Parigi 1972; M. Bandini, L’estetico e il politico. Da Cobra all’Internazionale Situazionista 1948-1957, Officina, Roma 1977.

17. L. Venturi, Otto pittori italiani, De Luca, Roma 1952. In una serie di saggi pubblicati in “Commentari”, e poi in Pittori italiani d’oggi, De Luca, Roma 1958, lo studioso provvederà a indicare un’area allargata di dintorni espressivi al nucleo primario del gruppo.

18. G. Kaisserlian (a cura di), Raccolta internazionale Schettini, catalogo della mostra, Galleria San Fedele, Milano, 1951.

19. M. D. M. (De Micheli), Due collettive astratte, in “l’Unità”, Milano, 19 ottobre 1951.

20. M.D.M., Peverelli, in “l’Unità”, Milano, 24 novembre 1951. E’ la recensione della personale di Peverelli al Milione, Milano, che segue di un mese quella di Dova: il Milione – dove nel 1950 tiene una personale anche Donati – segue in quel momento una prospettiva d’astratto-concreto con cautele naturalistiche che porterà, nel 1953, alla mostra Dodici pittori italiani curata da Marco Valsecchi. E’ sintomatico che già in novembre Dova – il quale già era stato presente al Naviglio nel 1950 –  tenga una nuova personale al Cavallino, Venezia, e che l’anno successivo, ancora al Cavallino, si presentino Crippa e Dova accompagnati da una conferenza di Peverelli: la discussione da cui nasce Manifesto dell’arte spaziale è datata al 26 novembre 1951.

21. Circolare, datata febbraio 1948, ora in Spazialismo a Venezia, 1987, cit. Anche in tal caso, è agevole rilevare l’attenzione alla collocazione del movimento al perfetto snodo tra forze intellettuali autorevoli dei grandi fronti contrapposti del figurare e dell’astrarre.

22. B. Joppolo, introduzione a Arte spaziale, catalogo della mostra, Galleria del Naviglio, Milano, 1952.

23. Spaziali al Naviglio, in “Milano Sera”, Milano, 29 febbraio 1952; A. Z., Mostre d’arte. Carozzi, Joppolo, Dova, De Luigi, Peverelli, Crippa e Fontana, in “Il Tempo di Milano”, Milano, 4 marzo 1952.

24. M. Valsecchi, Il decennale degli spaziali, in “Il Giorno”, Milano, 8 giugno 1956.