Savinio. Incanto e mito
Savinio. Incanto e mito, Palazzo Altemps, Roma, sino al 13 giugno 2021
Che Savinio e il fratello De Chirico avessero un rapporto particolare con l’antico, e più con i suoi riverberi mitici, è un fatto in cui gli aspetti biografici si confondono con gli umori culturali. In Savinio, poi, i riverberi sono plurimi, radianti tanto quanto vasta è la sua polypragmosyne.
Essa è, qui, solo lumeggiata – il tappeto sonoro dei Chants de la mi-mort e di Oedipus Rex è esemplare – a supporto della pittura e del disegno, che sono protagonisti dell’iniziativa: ma la filigrana scenica agisce in più aspetti del suo modo di concepire l’immagine, spiazzante anche perché si legge, qui, in uno dei luoghi paradigmatici del nostro mito del classico.
Savinio è, per molti versi, più complesso e sottile del fratello perché i suoi quadri sono anche, inevitabilmente e necessariamente, i suoi rimuginii intellettuali, i testi che intesse, i lavori che porta sul pentagramma e sul palcoscenico, tenendosi sempre lucidamente lontano dall’ancorarsi alla retorica delle definizioni, degli enunciati apodittici sul classico, e semmai facendone un filo corrente di materia criticamente viva.
Non è un caso che la sua riscoperta come musicista dati al 1978 e al disco memorabile che gli dedica Luigi Rognoni per Multiphla, la casa che pubblica anche Cage e l’avanguardia musicale pensante tutta del Novecento, e che la sua attività di poligrafo sia raccolta e studiata sistematicamente a sua volta piuttosto tardi.
Savinio è all’apparenza sempre elusivo, lieve, alimentato da un’eccentricità mai esibita, come una svagatezza fatta modo di vita. Né si può dire che oggi sia un monumento culturale: ai monumenti lui riserva tutt’altro trattamento.