Il criptico d’arte. Una cupola per ombrello
Una cupola per ombrello, in “Il Giornale dell’Arte”, 411, Torino, ottobre 2020
Tra le cose bizzarre che potevano accadere in un giorno di questo strano agosto, c’è stata anche quella di trovarmi a Saronno, cittadina ridente non lontana da Milano, con un paio di ore libere da sfruttare. Non è, per dire, che in generale uno decida di andare in gita a Saronno, terra celebre al più per l’amaretto e i biscotti: ma se sei già lì, ancorché per ragioni assai prosaiche come mi è accaduto, hai l’occasione perfetta per andarti a vedere della gran pittura e sentirti virtuoso e intelligente in qualità di piccolo apostolo del turismo a corto raggio oggi in gran voga.
Ciumbia, al locale santuario della Beata Vergine dei Miracoli, uno dei millemila luoghi mariani che punteggiano le nostre terre, ci sono le pitture più famose – d’accordo, quelle degli angeli musicanti non sono le sue più belle, ma sono state oggetto di un’accanita popizzazione moderna, e comunque sono gran belle – di Gaudenzio Ferrari, e per giunta, se ami la pittura davvero grande, gli affreschi del meno estroverso Bernardino Luini, uno che ha avuto la sfiga di vivere in un tempo in cui circolavano troppi genii ed è stato relegato dalle vulgate ingenerose al ruolo di “minore”. E quando ti ricapita di passare da queste parti avendo del tempo libero per godertele?
Dunque, è la tarda mattina, entro nel sacro luogo con la persona che è con me. Contati anche i tre fedeli che son già dentro, in tutto siamo in cinque. Mi avvio a passo spedito verso la vasta cancellata di ferro che separa l’area-beghine dall’arte, ma è chiusa, e per di più orfana di avvisi di sorta. Tento la via della sacrestia e mi si palesa uno che, a occhio e croce e a buonsenso, fa il sacrestano. Il sacrestano, intendo, e basta. Quando gli chiedo di poter accedere alla visione degli affreschi, mi risponde asciutto che non si può, perché c’è il covid. Cerco di argomentare che il virus le pitture non le infetta, quindi mi sembra una motivazione strampalata, e sarebbe peraltro difficile concepire atti vandalici sugli affreschi di una cupola, ma lui è tetragono: c’è il virus, non si entra. Mi gioco la carta di far notare educatamente che non ci troviamo esattamente in una situazione di calca, ma lui forse ha visto che entrando in chiesa non ho fatto il segno della croce, mentre i tre tizi inginocchiati sì, dunque non sono un fedele ma uno dei soliti miscredenti perditempo – non molti, se l’andazzo è questo – che van lì per le pitture e non per le devozioni: se voglio, devo farmi bastare quel che posso vedere attraverso la cancellata, cioè niente.
Tento di chiedere se almeno c’è un banchetto o un ufficio informazioni o qualcosa del genere, e il pio uomo mi indica brusco che, fuori dal santuario, posso trovare delle riproduzioni. L’indicazione è esatta, dal momento che all’esterno è appesa la pubblicità di uno studio fotografico privato che offre le stampe su tela degli angiolotti di Gaudenzio e dei Luini con ampia scelta di formati. Le ordini e te le mandano, ma non adesso che è agosto e per di più c’è il covid. Peccato, perché tra le altre amenità il suddetto studio fotografico propone anche un ombrello istoriato con la riproduzione dell’intera cupola, che per via dell’effetto inverso di cavità e convessità potrebbe anche essere visto come un’opera concettuale.
Delizie del turismo di prossimità: riparto con un pugno di mosche, senza aver visto delle opere importanti, e per di più senza nemmeno il mirabile ombrello.