Odiatori di Renoir, in “Il Giornale dell’Arte”, 409, Torino, luglio-agosto 2020

Forse nel 2015 la cosa era nata come una bravata culturalmente scorretta, che in quanto tale si fece strada rapidamente e brevemente nel mondo fluttuante del web. Un tizio, Max Geller, aveva dato vita a manifestazioni di protesta di fronte al museo di Boston chiedendo che si rimuovessero i quadri di Renoir, perché letteralmente “Renoir sucks at painting”, in sintesi, fa schifo e, recitava un altro cartello dei manifestanti, “God Hates Renoir”. Il che ci sta, nella nazione che ha inventato il Primo Emendamento, compresa la solita solfa che i Renoir sono robe per “just white males and their white male gaze”.

Renoir

Nell’account Instagram si sostenevano una serie di vaccate di quelle tipiche da buonsenso dell’uomo della strada che non conosce una cippa ma ha un’opinione su tutto, a prescindere: gli alberi veri sono bellissimi, ma Renoir li riduce a “scarabocchi verdi” (per vero ti sovviene, ohibò, che anche il severo Togliatti nel 1948 usò il termine “scarabocchi”, insieme a “orrori” e “scemenze”, a proposito dell’arte astratta), è noioso, non sa dipingere le tette, eccetera. E allora, i duemilaquattrocento adepti della prima ora di “renoir_sucks_at_painting” giù duri a farsi selfie mentre si esibiscono in boccacce schifate davanti ai quadri del pittore, il che, se hai sette anni, è un giochino divertente, come scrivere scemo di legge, disegnare piselli lunghissimi al cesso, fare le corna con la mano al compagno di banco, poi di solito smetti.

Non erano radicali, men che meno vandali, cazzeggiavano e basta intorno a un concetto che la cultura pop ci impone – Renoir è un genio, un artista da museo: ché per loro è cultura pop – e lo sbeffeggiavano: a noi non ce la raccontate giusta, non ci crediamo al fatto che Renoir fosse un grande pittore, dunque via i Renoir dai musei. S’è visto di ben peggio, ammettiamolo.

In effetti non ci sono state reazioni indignate alle loro provocazioni; educata indifferenza sì, ma nessun trombone che si ergesse a paladino dei “sacri valori” dei musei e della pittura: loro mi sa tanto che ci speravano, ma non è successo. Immaginavo che, in mancanza di antagonisti, la cosa si fosse estinta da tempo, invece ho scoperto che nel frattempo l’impavido movimento cazzaro ha superato i quattordicimila follower e ancora adesso c’è chi si esibisce in sfottò confrontando volti di modelle e foto di gatti, notando come le melanzane di Renoir siano allusioni falliche, e le sue donne abbiano sempre dei “disarming breasts”, il che in tempi di body-shaming e di rifattone da web diventa un demerito specifico: il meglio che ti può capitare è l’ideona di montare su un ritratto femminile del nostro il volto di Trump (uno che, viene ampiamente ricordato, esibisce con orgoglio il suo Renoir ben sapendo che è falso), e c’è pure qualcuno che si sente figo per aver pensato tale possente banalità.

Uno dice: vabbè, quattordicimila follower non sono nulla, sono un piccolo club di nullafacenti privi di idee e si consolano raccontandosi che non sono loro a essere ignoranti, ma il sistema bacato dei musei a essere affetto dal morbo di apprezzare Renoir, che ci impone con occhiuta arroganza. Ma poi si chiede chi glie lo faccia fare a questi: son qui da cinque anni aggrappati a questa ossessione fissa e non han perso un minuto neppure a leggere un opuscolo su Renoir o sugli impressionisti, dal quale avrebbero appreso che per trovare qualcuno che desse loro ragione devono risalire a gente come Louis Leroy, che schifò Renoir e compagni sin dal loro apparire. Ma non è un loro problema: fare graduatorie d’importanza artistica comporterebbe conoscere altri pittori e loro non possono mica imporre questa fatica al loro unico neurone, tutto concentrato a odiare Renoir.

Ma la loro non è nemmeno un’opinione estetica, è un gioco di società fatto tanto per fare, per coniare battute e meme di gusto improbabile e di nessun effetto, evidentemente in mancanza di meglio. Poi ti chiedi, ed è l’unica cosa che puoi fare: ma quanti di quelli che proclamano il loro amore per Renoir sono anche loro gente convinta che è importante perché sta nei musei e costa un sacco di milioni di dollari, e basta? E subito ti chiedi anche: ma quanto è squallida la vita di questi quattordicimila odiatori di Renoir, se non hanno proprio altro cui pensare?