Il vizio ci manca, in “Il Giornale dell’Arte”, 407, Torino, aprile 2020

Ohibò, è arrivato un virus che non sai bene come immaginarti e la tua zona di comfort salta per aria, perché ti manca qualcosa da raccontarti nella testa. Che non sia una faccenda di un paio di settimane e poi basta e torna tutto uguale a prima, l’hai capito subito, se non sei un imbesuito che crede a quello che raccontano i nostri reggitori. E la situazione di straniamento è accentuata dal fatto che da ogni parte si affrettano a spiegarti che il web può essere un sostituto pressoché onnipotente di ogni esperienza, e tu sei costretto a volerci credere, anche perché è più o meno l’unica cosa che ti sia consentito fare, in questa situazione così radicalmente anticapitalistica: il tuo capitale è il tempo a disposizione, pressoché illimitato (salvo quello che passi in coda per comprarti il pane e il companatico, chiedendoti perché sia diventato un must collettivo accumulare riserve smisurate di carta igienica), ma non sai bene a che cippa serva, visto che quello che vorresti fare non lo puoi fare. E poi ce l’hanno tutti, quindi non c’è gusto.

Bramante, Santa Maria presso San Satiro, Milano

Bramante, Santa Maria presso San Satiro, Milano

Comunque, visto che piuttosto che niente va bene piuttosto, il tuo consumo minimo garantito di arte te lo procuri così. Il web è pieno di arte, nel bene e nel male. E qui sta il bivio ultimativo, che ricordo mi venne rivelato tanti anni fa da un personaggio bizzarro e geniale, Ruggero Guarini, il quale spiegava che le iniziative per avvicinare virtuosamente il pubblico alla pratica negletta della lettura non servivano a una cippa dal momento che leggere per davvero è un vizio, mica una virtù.

L’arte, l’arte che ti serve, è una virtù o un vizio? Virtuoso è seguire ordinatamente un percorso – quello virtuale del museo, una mostra web ad hoc – che giovani funzionari per bene hanno omogeneizzato e confezionato per te, allegando didascalie che non ti affatichino troppo i neuroni, pastorizzando dei saputi che puzzano lontano un miglio di luogo comune, così che la prossima volta che incontri, che so, un Michelangelo o un Raffaello – o un Picasso o un Mirò, de même – ti senti a posto perché “li sai”.

Scopri comunque delle cose. Se bighelloni un po’ per esempio magari capiti all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston e impari che è una collezione strepitosa e nessuno te l’aveva mai detto: e lì, oltretutto, già un po’ di opere sarebbero virtuali anche se ci andassi di persona, dal momento che qualcuno se le fregò nel 1990 e non sono più riapparse e ora te ne esibiscono delle copie immateriali. Oppure trovi il tempo (!) per fare un giro alla National Portrait Gallery di Londra, posto dove mai nella vita ti saresti sognato di andare perché non è neanche chic dire di esserci stato.

Ma il vizio, quello manca. Più ancora del libro, l’arte, a volerne fare esperienza, è un vizio pesante, comporta che tu sia disposto a farti schiantare dentro, ad accarezzare e palpare e godere (con gli occhi, va sans dire, ma gli occhi toccano, eccome), e anche corteggiare, annusare, possedere e farti possedere. Sanamente vizioso è concentrarsi su un’opera, anche se la didascalia dice Lazzaro Bastiani o Franciabigio o chiuque altro non hai mai sentito nominare, ma tu te ne freghi perché sei capace di eccitarti, perché ti scatta la voglia di avere con lei un’avventura.

La fregatura delle iniziative web, tutte, è che ti spacciano l’arte come una virtù, disinnescandone l’erotismo implicito. Poi lo stesso web, e questo lo sanno bene tutti, è una prateria sterminata di erotismo “in luogo di”, ma appunto in una misura di falsificazione irrevocabile. Almeno questa astinenza, dall’impurità e imprecisione della pittura, dalle rughette del tempo che si porta addosso, dai sentori di materia che ancora emana il suo corpo vissuto, ti accorgi forse che ti manca, anche se la turistizzazione dei musei ha fatto molto per privartene. E rimpiangi di aver visitato, quando si poteva, la grande mostra, ma di non aver mai messo piede in un luogo non cool ma dove potevi godere davvero. Uscendo dall’antologica della Abramović a Palazzo Strozzi potevi traversare la strada e intrecciare un’intensa love story, da solo e in silenzio, con il Ghirlandaio in Santa Trinita. E da una mostrona in Palazzo Reale a Milano, un salto a San Satiro non solo per Bramante, ma anche per la Pietà di Agostino de Fondutis, valeva altroché la pena di farlo. Per dire. Avere il vizio, ora ti accorgi, è davvero una virtù. Ma per il momento, contentati del web.