Il criptico d’arte. Una bananità
Una bananità, in “Il Giornale dell’Arte”, 405, Torino, febbraio 2020
Confesso che mi diverte ancora, arrivato alla mia età non più tenera e scafata, sorprendermi per le cose che succedono nel e intorno al mondo dell’arte. Lo dico subito: c’entra la banana di Cattelan. Ma c’entra perché nel mazzo inenarrabile di auguri che hanno intasato, com’è ormai tradizione, la casella di posta elettronica, un gran numero era fatto di meme della medesima banana del Cattelan: che lipperlì non mi era sembrata un’ideona, ma un’autocitazione light, arguta e furbetta il giusto, proprio roba da dare in pasto a uno stand di fiera: “un segno”, come dicevano negli anni settanta i concettuali onniscienti, mica un lavoro.
In effetti, prendi del nastro adesivo robusto e argentato e ci puoi attaccare al muro ogni cosa, il tuo gallerista compreso, aveva dimostrato a suo tempo il Cattelan medesimo. E la gente si è allineata festosa, dando fondo alle scorte di 3M e Tesa e Fixman riunite e parimenti alle proprie fantasie, con picchi di banalità desolante, sdolcinatezze e cazzaggini varie secondo estro, fette di panettone comprese: anche se, all’appello delle mie fantasticherie che tendono sempre a dirazzare, mancano richiami non meno tradizionali come, che so, un altrettanto allusivo napoletanissimo capitone oppure, con citazione quasi testuale, un Babbo Natale schiaffato al muro proprio come a suo tempo il buon Massimo De Carlo, il quale tra l’altro ora ha messo su anche lui una bella barbona bianca.
Temo, per parte mia, che non si sia trattato che di un debutto, e che per molto tempo ancora dovremo subire roba attaccata al muro con lo scotch argento fatta da qualcuno che così si dice “esprimo anch’io la mia creatività” (vuoi che qualche maestra di scuola inconsapevolmente perversa non s’inventi sessioni con i bambini lasciati liberi di dar fondo ai d’après più bizzarri?) oppure “prendo anch’io per il culo come fa il Cattelan”, oppure, persino, “ho un’ideona per dei meme nuovi”.
Anche nel pianeta in cui Cattelan si aggira solitario macinando con libidine da masscult un po’ vero un po’ finto le sue invenzioni, la cosa deve aver creato qualche sorpresa goduriosa. Aveva immaginato di iscriversi al club delle supericone del secolo, il pissoir di Duchamp in testa, piazzando la sua tazza da water in oro zecchino nel museone, e l’effetto è stato solo assai marginale, tant’è che l’appendice noir del furto con destrezza del water medesimo è stata accolta da un generale chissenefrega. Ha attaccato, con gesto di sublime e disincantata pigrizia, la banana nel casino di una fiera (non so neppure se l’abbia fatto proprio lui, ma non è ovviamente rilevante: in fondo può essergli bastata una telefonata, proprio come accadeva al vecchio Marcel), e tutto il mondo non solo ne ha parlato, ma l’ha introiettata facendone una figura perfetta della coscienza collettiva, in cui ormai tengono il campo meme di meme di meme, il che è l’eredità più lucida di Duchamp. Andrà a finire che lo scotch argento diventerà una roba solo sua, sottoposta a uno di quegli pseudo-copyright tra ideologici e dementi che piacciono tanto ai fighetti dell’arte.
In fondo, Cattelan così ha smesso persino di cincischiare con il mondo dell’arte e i suoi meccanismi e ha cominciato davvero a pensare da uomo-massa, che quando parla d’arte dice cose elementari, perfettamente replicabili senza complessi e senza skill, che non si deve neppure far finta di capire. Per tutto il resto, come diceva la pubblicità, c’è la Mastercard di un collezionista, ma questo riguarda solo lui e i suoi mercanti, ché la massa nel frattempo si è già largamente pasciuta.