Vanni Scheiwiller e l’arte. Da Wildt a Melotti, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, sino al 19 gennaio 2020

All’inizio è  Hans Mardersteig, stampatore tedesco che dal 1922 ha avviato le Editiones Officinae Bodoni a Montagnola di Lugano e nel 1927 si trasferisce a Verona. Giusto un anno prima è divenuto cittadino italiano un altro genio dell’arte del libro, Giovanni Scheiwiller, nato svizzero, che dal 1930 dirige la casa libraria Ulrico Hoepli e nel 1936 fonda le sue raffinatissime edizioni di poesia All’insegna del Pesce d’Oro, ma già da un decennio segue la collana “Arte Moderna Italiana”, serie di monografie agili e serie di grandi come Picasso, Matisse, Gauguin, e dei maggiori italiani del secolo.

Piero Manzoni, Otto tavole di accertamento, Scheiwiller 1962

Piero Manzoni, Otto tavole di accertamento, Scheiwiller 1962

Vanni Scheiwiller è suo figlio, che nel 1951 eredita le attività editoriali, la sapienza e, più, la passione per il mestiere del padre, e un’attenzione per l’arte – suo nonno è, d’altronde, Adolfo Wildt – che lo porta a battere non solo le vie già sapute del Novecento ma anche le nuove.

È curioso di Fontana e Melotti, del quale pubblica in una veste prestigiosa nel 1974 il leggendario Il triste minotauro, e più ancora di giovani compagni di via come Piero Manzoni, che incrocia già al liceo con Nanni Balestrini e Antonio Porta, e Vincenzo Agnetti, figura atipica ma di straordinaria capacità innovativa in bilico tra scrittura e pratica artistica, di cui battezza nel 1968 l’esordio letterario arricchendolo di una copertina/opera di Enrico Castellani.

Vincenzo Agnetti, Obsoleto, Scheiwiller 1968

Vincenzo Agnetti, Obsoleto, Scheiwiller 1968

La mostra è un omaggio di opere alle sue opere ma, più, la restituzione di una figura felicemente, per certi versi genialmente eccentrica della cultura contemporanea.