Ross Hansen
Ross Hansen, in “Fragile”, 4, Milano, 2018
Ross Hansen è un prodotto della mitica Cranbrook Academy of Art di Bloomfield Hills, Michigan, non lontano da Detroit, di fatto una comunità artistica che rinnova modernizzandoli – e in chiave non ideologica – i fasti antichi di Arts&Crafts e di Bauhaus e che ha visto nei suoi laboratori autori come Eliel e Eero Saarinen, Ray e Charles Eames, Florence Knoll, Lorraine Wild, Daniel Libeskind, Hani Rashid, ma anche Duane Hanson, Richard DeVore, Tony Hepburn, Anders Ruhwald.
Ne è un prodotto eccentrico, dal momento che Hansen muove da forme d’arredo del tutto usuali, delle quali non forza gli statuti strutturali e funzionali, ma le fa nascere da un processo che appare di modellazione con una forte implicazione fabrile, come fossero frutto di una pratica compiutamente artigianale.
In realtà la sua è una riflessione più complessa. Tutti i materiali che utilizza sono tecnicamente avanzati, a cominciare dalla ceramica e dall’argilla epossidica, ma forzati a un utilizzo parzialmente improprio, che non ne valorizza la possibilità di farsi forme algide e superfici perfette, com’è nella produzione industriale di serie, ma la parentela sorgiva con le materie povere, in cui ciò che conta è l’ansia e il piacere dalla mano.
Ne è scaturito negli anni un atteggiamento che, in occasione della personale recente da Volume a Chicago, 2018, Hansen ha definito “Super Natural”, ovvero un processo deliberatamente e calcolatamente artificioso il cui fine è ritrovare le cadenze naturali, i pattern, le consistenze sensibili delle cose naturali, che riportano all’idea tenace di “that kind of beauty which is agreeable in a picture” sulla base dei quali nel ‘700 William Gilpin stabilì i “principles of picturesque beauty”, uno dei fondamenti della Landscape Architecture in cui Hansen si è formato.
La nuova convenzione del pittoresco è, qui, la nostalgia dell’impurità del fare manuale, la fascinazione della sua imperfezione: che poi essa si declini, ora, attraverso un procedimento totalmente antitradizionale, attraverso un estremo sperimentale perfettamente ripensato, è il gioco non solo intellettuale di Hansen.