Alessandro Guerriero, in “Fragile”, 3, Milano, 2018

Alessandro Guerriero irrompe sulla scena creativa nel 1975 quando apre, con alcuni compagni di strada, Alchymia, che subito modifica il nome in Alchimia. All’inizio non si capisce bene cos’è, ma è ben chiaro ciò che, nel panorama algido del design milanese, non vuole essere.

Alchimia, Arredo vestitivo, 1982

Alchimia, Arredo vestitivo, 1982

Guerriero ha scelto deliberatamente di non laurearsi in architettura, nello spazio di via dell’Orso a Milano (il primo, verranno poi quelli in foro Bonaparte e in via Gabba) organizza mostre – memorabili la personale di Nazareno Noja e “Censimento della valigia” – e si tiene lontanissimo da esibizioni di professionalismo, di tecnocrazia, di stile. Si fa, piuttosto reagente critico e ironico, innesco dubitante di contraddizioni intellettuali, adunatore di spiriti lucidi e dispettosi, attivatore di esperimenti intorno alla sostanza e alla ragione del design stesso, catalizzatore di un’“arca di Noè” – così la chiama agli inizi – in cui c’è gente che agisce criticamente piuttosto che secondo norma, che guarda altrove quando tutti sembrano seguire una sola idea (idea?): nell’arca ci sono, dichiara nel 1978, “Noja, Mendini, Scolari, Sottsass, Raquel Welch (perché no?) e pochi altri”: e subito s’aggiungono Paola Navone, Daniela Puppa, Riccardo Dalisi, Franco Raggi, Cinzia Ruggeri, UFO, Michele De Lucchi, ma anche, tra gli altri, Occhiomagico, coautore nel 1982-1983 di una serie di copertine fotografiche memorabili per “Domus”, e i teatranti di Magazzini Criminali.

Alchimia ha una verve dissolutoria e impertinente più che distruttiva, coltiva con sagacia una dimensione che Mendini dirà “giocattolosa”, ovvero libera e leggera, nutrita d’immaginazione ipertrofica, di una facoltatività che guarda diversamente il mondo, lo reinventa e insieme lo interroga e lo ripensa, perché in radice agisce in modo lucido e, con levità non predicatoria, serio.

Mendini e Guerriero, Mikiolone, 2011

Mendini e Guerriero, Mikiolone, 2011

I suoi autori praticano in prima istanza il disegno, non solo perché il disegno è per antonomasia spazio di libertà e invenzione, ma anche perché si pensa e si fa oltre ogni confine disciplinare e ogni specializzazione, è pariteticamente territorio di pittura e di architettura, design e teatro, ed è contraddistinto da una forma di gratuità, meglio di indifferenza funzionale, che ha il coraggio anche della banalità ma che in compenso valorizza le misure pur minime del pensiero, i brividi intellettuali e di gusto, ponendosi e ponendo, senza necessariamente dar risposte, questioni cruciali come la sostanza della tradizione, della memoria, delle effettive condizioni soggettive del vivere, di un elementare “abitare poeticamente” a partire dall’espressione della propria indefinibile, fluida, frammentata identità. “Sono un progettista che applica all’architettura e al design certi metodi tipici del comportamento dell’artista, e viceversa, sono un pittore che per dipingere usa certi metodi tipici del progetto”: così Guerriero.

Senza parere, molta carne vien posta al fuoco da Alchimia, sia quando all’apparenza conduce battaglie eccentriche (la crucialità del decorare, ridefinito a comprendere uno spettro di possibili ben più ampio della sua accezione storica, e il redesign, ad esempio) sia quando valorizza il contributo plurimo di autori, dagli artisti agli artigiani, in pratiche che anonimizzano il protagonismo autoriale dei singoli, sia quando ancora, anticipando l’air du temps, nel 1988 concepisce “Ollo”, “rivista senza messaggio” a fogli mobili e priva di testi, come un’aggregazione morenica e divagante di suggestioni e spunti. Guerriero proclama conclusa l’esperienza di Alchimia nel 1992 (“Io l’ho fondata e io l’ho affondata”, dice Guerriero) per espanderne e insieme precisarne le ragioni essenziali. Dà vita nel 1995 al Futurarium, “fabbrica estetica” per cui il design “deve essere consapevole che il gradiente di poesia e il peso specifico etico presente in un oggetto sono gli elementi che ne guidano la selezione e che accreditano soltanto alcuni oggetti a entrare con dignità nel nostro nuovo millennio”, e poi ancora a TAM-TAM, scuola che “non ha struttura, è amorale, originale, discontinua, classica, destrutturata. Non è collettiva, non è obbligatoria, non è autoritaria, non è borghese, non è operaia, non è ideologica”, e che non ha un dove ma un forte perché, inderogabilmente critico e autocritico.

Sedia autoritratto, workshop Sacra Famiglia, Cesano Boscone, 2015

Sedia autoritratto, workshop Sacra Famiglia, Cesano Boscone, 2015

Anche adesso si continua a non sapere bene che cosa faccia Guerriero, ma sì cosa non voglia fare: ha fondato tra l’altro nel 1997 la Cooperativa del Granserraglio con i detenuti milanesi, poi alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone ha coinvolto le persone con disabilità in altri progetti in cui l’imperfezione, la fragilità diventa infine meravigliato valore.

Perfetta è la descrizione che della sua figura ha dato Stefano Mirti: “Mentre tutti i suoi colleghi erano impegnati con grande metodo a diventare maestri, grandi maestri, eccellenze, eminenze, escrescenze, lui era sempre impegnato a inventare un’altra cosa”, perché la sua strategia è “giocare con il paradosso, far finta di essere da un’altra parte (mentre in verità si vive in un altrove perenne inaccessibile ai più)”.