Carlo Nangeroni. Il dominio della luce, ABC-Arte, Genova, sino al 5 gennaio 2019

“Dipingere è dipingere, prima di tutto, quindi non è progettare la pittura”. Pronunciata da Carlo Nangeroni, del quale è stata sempre celebrata l’esattezza geometrica e strutturale mentre la sofisticata, e per molti versi poetica, analisi del colore-luce era tenuta in secondo piano, è rivelatore.

Nangeroni, Path, 1966

Nangeroni, Path, 1966

Giunto sulla scena della pittura italiana nel 1958 dopo una lunga esperienza statunitense, Nangeroni non s’appassiona alle questioni eminentemente percettive della neoavanguardia, rimanendo piuttosto fedele a un valore di visività essenziale, certo, ma che nasce e si compie nel processo pittorico.

Le shapes circolari che sceglie come i propri monemi pittorici, l’accelerazione ritmica ed espressiva dei valori lineari, il costruire lento e meditato, tutto dice che per lui, come per i maestri dell’avanguardia ormai classica, è “peinture d’abord” sottratto a ogni nominalismo.

Chi vada in cerca del suo essere “avanti” rispetto alle cronistorie dell’arte può non eccitarsi, ma chi abbia occhi per la poesia sottile, a ciglio asciutto, e per la gioia della riflessione, troverà in queste opere un’alternativa importante, fatta di etica e igiene del dipingere, ai teoricismi e alle asserzioni che imporrebbero un dover essere della pittura.

Nangeroni, Seriale elementi scorrevoli, 1969

Nangeroni, Seriale elementi scorrevoli, 1969

E poi, è evidente sin d’allora che Nangeroni ragiona anche intorno a un vanishing point che non sia un grado zero, ma, appunto, una condizione sorgivamente espressiva del vedere mentale e del far accadere in pittura.