Alberto Giacometti
Alberto Giacometti, Non so più che sono, c. 1960, in Scritti, Milano 2001
Non so più chi sono, dove sono, non mi vedo più, sono convinto che il mio viso debba apparire come una vaga massa biancastra, esangue, che si tiene assieme sostenuta da vecchi stracci informi che cadono sino a terra. Apparizione malcerta.
Non mi vedo più, né vedo quel che mi sta intorno: dei bicchieri, dei vetri, dei volti, dei colori qua e là, sì, dei colori squillanti, un piattino su un tavolo, lo schienale di una sedia.
Soprattutto gli oggetti mi sembrano reali, il bicchiere molto meno precario della mano che lo regge, lo solleva, lo posa nuovamente, scompare. Gli oggetti hanno un’altra consistenza.
Le teste, le persone non sono che movimento incessante, da dentro, da fuori, si rifanno di continuo, non hanno una vera consistenza, il loro lato trasparente. Non sono né cubi, né cilindri, né sfere, né triangoli. Sono una massa in movimento, un’andatura, una forma cangiante e mai del tutto afferrabile. E inoltre sono come vincolate a un punto situato all’interno che ci guarda attraverso gli occhi e che sembra costituire la loro realtà, una realtà non misurabile, in uno spazio illimitato e che sembra esser altro da quello in cui sta la tazza di fronte a me o che è creato dalla tazza stessa.
Esse non hanno – non più – un colore che sia definibile.
Ritornare su tutto questo.