Alberto Giacometti, Non so più che sono, c. 1960, in Scritti, Milano 2001

Non so più chi sono, dove sono, non mi vedo più, so­no convinto che il mio viso debba apparire come una va­ga massa biancastra, esangue, che si tiene assieme soste­nuta da vecchi stracci informi che cadono sino a terra. Apparizione malcerta.

Non mi vedo più, né vedo quel che mi sta intorno: dei bicchieri, dei vetri, dei volti, dei colori qua e là, sì, dei colori squillanti, un piattino su un tavolo, lo schie­nale di una sedia.

Giacometti, Diego,1953

Giacometti, Diego,1953

Soprattutto gli oggetti mi sembrano reali, il bicchie­re molto meno precario della mano che lo regge, lo sol­leva, lo posa nuovamente, scompare. Gli oggetti hanno un’altra consistenza.

Le teste, le persone non sono che movimento inces­sante, da dentro, da fuori, si rifanno di continuo, non hanno una vera consistenza, il loro lato trasparente. Non sono né cubi, né cilindri, né sfere, né triangoli. So­no una massa in movimento, un’andatura, una forma cangiante e mai del tutto afferrabile. E inoltre sono co­me vincolate a un punto situato all’interno che ci guar­da attraverso gli occhi e che sembra costituire la loro realtà, una realtà non misurabile, in uno spazio illimita­to e che sembra esser altro da quello in cui sta la tazza di fronte a me o che è creato dalla tazza stessa.

Esse non hanno – non più – un colore che sia defini­bile.

Ritornare su tutto questo.