Oki Sato. Nendo, in “Fragile”, 1, Milano, 2018

Oki Sato ha aperto Nendo nel 2002 a Tokyo e tre anni dopo a Milano. È un autore che non pensa materia (è vero, nendo si traduce argilla, ma per la sua capacità essenziale di prender forma, tutte le forme) ma che concepisce cose e situazioni come disegni che si solidificano nello spazio mantenendo aperta, variabile, radiante la loro capacità di modificarsi e modificare.

Nendo, Invisible outlines

Nendo, Invisible outlines

Ragiona e fa. Come un calligrafo minimalista lavora sui margini essenziali d’una forma mai decisa, anzi sempre in bilico tra precisione micidiale e collasso, tra puro apparire e farsi pienamente spazio, e spesso funzione. Oki Sato concepisce cose che sprigionano idee dichiarando la propria ratio generatrice, facendone anche spettacolo, ma non solo per gli occhi.

Non pensa materie ma tocca materiali, assumendone le caratteristiche senza farne ideologia, piuttosto ripensandone criticamente e inventivamente la funzione attraverso un vaglio inventivo complesso, che si concede ampi margini di poesia.

Il meccanismo era già chiarissimo nell’opera sua forse più celebre, The Cabbage Chair, 2007. Un rotolo di carta plissettata nello studio di Issey Miyake innesca un riconoscimento autre del materiale e una metamorfosi dell’idea: le pieghe si schiudono come un cavolfiore e il rotolo, poggiato a terra verticale, diventa una seduta. Ciò che Oki Sato mette in gioco è la processualità, l’analisi intuitiva e critica di tutti gli spazi in between rispetto ai termini saputi: “Il punto non è creare cose ma trovare idee”, dice.

Nendo, Fadeout chair

Nendo, Fadeout chair

L’in between principale, quello in cui più gli è possibile orientare il processo, è il rapporto tra le cose – e le funzioni relative – e la loro rappresentazione mentale, autentica generatrice di definizioni e di aspettativa. Se tale precognizione viene aggirata, posta in scacco, dissolta con atti criticamente vivi, la formatività fisica nello spazio si configura, anche e comunque, come un disegno mentale, con un grado di blankness che ne impronta la fisiologia tutta.

E comunque su Fadeout-chiar, 2009, che contraddice gentilmente la nostra idea di poggiare saldamente a terra, ci si siede e si sta pure comodi.