Arte politicamente scorretta
Arte politicamente scorretta, in “Il Giornale dell’Arte”, 384, Torino, marzo 2018
Ogni tanto riciccia, giusto per stare in tema, un Beeldenstorm: che era la “tempesta delle immagini” scatenata nelle Fiandre nel 1566 dai riformati contro le figurazioni sacre nelle chiese cattoliche. Questa è più gentile, però, non prevede contadini armati di mazze (vabbé, quando i talebani censuravano “vigorosamente” i Buddha di Bamiyan o i santuari islamici di Timbuctù aprendo la strada alle imprese artistiche dell’Isis facevano la stessa cosa: ma loro erano incivili e noi no, chissà perché) bensì un rituale tutto bon ton e minuetti politicamente corretti perché convinti apprescindere d’esser nel giusto.
Dunque in sintesi la faccenda è questa. Immemore della vandalizzazione della Venere allo specchio di Velázquez attuata nel 1914 da Mary Richardson, suffragetta che aggredì a colpi di mannaia il dipinto perché considerava insano “il modo in cui i visitatori maschi se ne stavano lì tutto il giorno a bocca aperta” a guardarla, e burocratizzando in perfetto stile “non ho capito una cippa ma leggo i social” il chiacchiericcio intorno a Weinstein e affini, al museo di Manchester una tale Clare Gannaway, solerte curatrice per insufficienza di prove, ha deciso di far rimuovere un dipinto di Waterhouse con ninfe al bagno e di aprire un dibbattito (di quelli con due b) tra visitatori e sfaccendati social vari a proposito della retorica della nudità femminile.
È storia non nuova. Le Guerrilla Girls già nel lontano 1989 facevano notare in un celebre statement come al Metropolitan di New York solo il 5 per cento degli espositori fossero di sesso femminile, ma l’85% dei nudi esposti raffigurassero soggetti femminili, concludendo che una donna per entrare al museo deve essere nuda. Ispirata da loro, oppure da gente tosta del passato come Valie Export e compagne, questa qui si è detta che si potevano riscattare quarantamila anni di sguardi concupiscenti di maschi – più o meno è l’età che si dice abbia la Venere paleolitica di Hohle Fels conservata a Francoforte: che poi magari l’ha scolpita una donna, ma qui siamo nel campo delle cento pertiche… – a colpi di post digitali e post it indignati attaccati alle pareti del museo. Che poi il concupiscere medesimo sia una componente atavica dello sguardo umano ambosessi, altrimenti non inventavamo l’idea di bellezza e ci estinguevamo in un paio di generazioni e chiusa lì, e che gentaglia come Platone abbia spiegato cose sull’Afrodite Urania e sulla Pandemia, compreso che è ella stessa a generare quel pisellone di Priapo, qualcosa vorrà pur dire, anche se i social non lo raccontano e miss Clare neanche sa di cosa si stia parlando.
Tant’è. Un paio d’anni fa in America andava di moda prendersela con i monumenti a quel fascista di Italo Balbo e poi, puntando al bersaglio grosso, a quel colonizzatore imperialista di Cristoforo Colombo, con tanto di sindaco di New York che ha chiesto una mappatura di tutti i monumenti che – a parte la loro bruttezza, che io considero la giusta causa per abbatterli – possano “istigare all’odio, alla divisione, al razzismo e all’antisemitismo”. Se la mettiamo così, tutte le volte che uno passa per piazza Cadorna o per foro Bonaparte dovrebbero girargli molto i cabasisi a veder celebrati dei cultori professionali della carneficina. E a ben vedere anche Romolo era un fratricida e un rapitore di donne sabine, ed Enea uno che ha sedotto e abbandonato Didone come un playboy da strapazzo: altro che Weinstein, per dire.
Poi è tornata prepotente in auge la questione delle cose censurabili e censurande nel web, e se la son presa con la solita foto della bambina Kim Phúc colpevole di scappare nuda da un villaggio vietnamita passato al napalm. E ci si aspetta che tra poco tocchi a tutti i putti dipinti e scolpiti col sederino al vento.
In attesa che qualcuno decida di moralizzare la mitologia come ai tempi dei preti che riscrivevano Ovidio edulcorandone le storie, che son tutte una faccenda di accoppiamenti zoofili, divinità sporcaccione e variamente abusanti (a proposito, la mamma di Romolo e Remo viene stuprata da Marte, altra vicenda che fa concludere che l’italica stirpe è partita mica bene), e che un soprassalto paleomarxista come quelli d’antan condanni le piramidi perché le han costruite degli schiavi, per di più di colore, e le grandi cattedrali perché ci lavoravano dei poveracci senza minimo salariale garantito (mica tanto tempo fa è anche saltato fuori che la Sagrada Familia di Gaudì non era a posto con le autorizzazioni edilizie…), epuri dai musei assassini e delinquenti vari, Caravaggio in testa, e chiuda la cappella degli Scrovegni perché pagata con i soldi di un usuraio, siamo nella stagione del classico dei classici, il nudo femminile.
Quando qualcuno come miss Clare, leggendo almeno qualche libro, scopre cosa facevano alle modelle quelli come il pedofilo colonialista Gauguin, gli inseminatori seriali Klimt e Freud e brutta gente come Schiele o quel puttaniere di Giacometti (che per di più nelle foto è sempre lì che fuma, l’infame), per non dire di Balthus, sul quale pende una condanna per pedofilia gratuita ma ormai passata nel giudicato webbarolo, son dolori.
Almeno il grande scrittore Luigi Meneghello aveva provveduto subito a pararsi dalle future accuse. Nel suo geniale Pomo pero, dedicato al dialetto nativo di Malo, scrive: “Si discute un po’ sulla natura delle donne. Il più taciturno dei nostri mediatori assiste imbronciato. Gli chiedono il suo parere. Lo enuncia: Le done dio-can gussarle”. Ma poi aggiunge subito, per par condicio, la replica: “E i òmeni dio-can taiàrghelo”. Non serve traduzione.