Mario Botta. Spazio sacro, Pinacoteca Casa Rusca, Locarno, sino al 12 agosto 2018

“Attraverso gli edifici di culto ho l’impressione di aver individuato le radici profonde dell’architettura stessa. I concetti di gravità, di soglia e di luce come generatrice dello spazio, il gioco delle proporzioni e l’andamento ritmico degli elementi costruttivi, fanno riscoprire all’architetto le ragioni primarie, di matrice in qualche modo sacra, dell’architettura stessa”.

Botta, Chiesa di San Giovanni Battista, Mogno, 1986-1998

Botta, Chiesa di San Giovanni Battista, Mogno, 1986-1998

Così Mario Botta, la cui tensione inventiva sorgiva è stata, attraverso la deretorizzazione definitiva delle componenti stylées del fare architettonico, ritrovare e delineare le condizioni prime del fare luogo, del fondare uno spazio che si armonizzi alle condizioni della comunità di cui è epicentro e insieme affermi, per ragione essenziale, la propria alterità.

I ventidue edifici documentati interrogano, appunto, il sacro, che è anche tradizione del sacro stesso, nelle sue componenti liturgiche e confessionali – Botta ha edificato per religioni diverse senza mutare nella sostanza profonda d’approccio problematico – ma, più, in quelle che ne qualificano la straniata eminenza e l’anomalia qualificante.

Botta, Sinagoga Cymbalista e Centro dell'eredità ebraica, Tel Aviv, 1996-1998

Botta, Sinagoga Cymbalista e Centro dell’eredità ebraica, Tel Aviv, 1996-1998

Sono architetture intimamente belle. Perché non applicano un paradigma di bellezza normativa, ma perché criticamente e autocriticamente ne delucidano ogni volta gli statuti e i concreti possibili. Annota Chillida, che per molti versi considero di Botta fratello nello spirito: “non ho mai cercato la bellezza. Ma se si fanno le cose come devono essere fatte, le bellezza può manifestarsi in loro”.