Jean Dubuffet
Jean Dubuffet, da Asfissiante cultura (1968), Milano 2006
[…] I professori sono degli scolari perpetui, degli scolari che, terminati gli studi, sono usciti dalla scuola dalla porta per rientrarvi dalla finestra, come i soldati che prolungano la ferma. Sono scolari, perché invece di aspirare a un’attività da adulti, ossia creativa, si sono abbarbicati alla condizione di scolaro, ossia passivamente ricettiva, a somiglianza della spugna. Lo spirito creativo è assolutamente opposto alla posizione del professore.
C’è più vicinanza tra la creazione artistica (o letteraria) e qualsiasi altra forma di creazione (nei campi più comuni, come il commercio, l’artigianato o qualsiasi altro lavoro manuale o d’altro genere) di quanta ve ne sia tra la creazione e l’atteggiamento puramente omologatore del professore, che per definizione è colui che non è animato da nessun gusto creativo e deve lodare indifferentemente tutto ciò che ha prevalso nel corso dei secoli. Il professore è il rubricatore, l’omologatore e lo schedatore di quel che ha prevalso, non importa dove e quando. Gli architetti del Rinascimento disprezzavano il gotico e quelli liberty disprezzavano il Rinascimento; ma il professore celebra contemporaneamente nel suo infiammato discorso gli uni e gli altri, perché il suo cuore è gonfio di ammirazione per quel che ha prevalso, e del bisogno di applaudire quel che ha prevalso, ovunque si manifesti.
La cultura proietta una luce intensa su alcuni prodotti, dirige la luce a loro vantaggio, incurante di far piombare tutto il resto nell’oscurità. Così muoiono per asfissia (perché la creazione respira quando riceve un po’ di luce, e soffoca quando ne è privata) tutte le aspirazioni che non nascono direttamente da questi prodotti privilegiati. Possono vivere soltanto i loro imitatori, i loro commentatori, i loro sfruttatori, i loro scoliasti.