Geogre Grosz
Geogre Grosz, da A Little Yes and a Big No, New York 1946
Nel mio tentativo di adattarmi mi sforzai di svalutare la mia arte, di trasformarla in una specie di bacchetta magica che avrebbe dovuto mutare i miei dipinti in oro. Apprezzavo talmente i ben remunerati illustratori americani che tentai di divenire uno di loro, uno di quelli che illustravano i racconti delle riviste a grande diffusione. Anche quando ero un giovane principiante e più tardi quando percorrevo i sentieri e i bivii del folle dadaismo o dipingevo figure espressionistiche, apprezzavo segretamente le illustrazioni ‘naturali’. Ecco un’arte per le masse, che poteva essere capita da tutti senza bisogno che qualche presuntuoso storico d’arte indulgesse in astruse interpretazioni per spiegare un enigma che poi rimaneva insoluto […]. La tranquilla realtà esercitava su di me un enorme richiamo. La glorificazione e l’adulazione della vita mi sembravano un ellenismo appena appena esagerato. Il mondo che veniva dipinto sotto un aspetto così cordiale e idealizzato era il mondo sognato dall’uomo della piccola borghesia. Gli dei erano discesi dalle loro altezze olimpiche e passeggiavano di mattina in vestiti sportivi e di sera in abito scuro.
Se si osservano i grandi periodici e le riviste riccamente illustrate come semplici libri di favole vi si vedono i bei sogni del piccolo uomo, il quale si sforza di evadere dalla sua dispepsia, dal suo mal di cuore, dal suo cancro al fegato, dal suo alcoolismo incurabile, dai suoi divorzi e aborti segreti. I brutti sogni non assumono mai forma, né nelle parole né nelle illustrazioni, e il solo mondo accettabile è un mondo chimicamente sterilizzato, un mondo da negozio di balocchi. […] Naturalmente, dato che queste riviste non erano altro che grandi almanacchi con i racconti inseriti tra gli avvisi pubblicitari, ci sarebbe stato molto da dire contro di essi, specie dal punto di vista degli ideali classici dell’arte. Però l’effetto di queste pubblicazioni americane all’estero era quello di un’attraente propaganda per un paese dolce e pulito e moderno, dove tutti erano gentili, sorridenti e cordiali. Che rinfrescante contrasto con la dura e sgradevole Europa. Sì, si finiva con l’aspirare segretamente a una simile terra fatata. […] Questi bei sogni, questi dolci e piacevoli disegni mi attraevano enormemente.
Evidentemente un mondo borghese così immacolato poteva esistere solo nell’immaginazione di illustratori il cui unico scopo era quello di vendere i loro prodotti al principale. Ciascuno esperimenta a modo suo la verità, ammesso che ve ne sia una. Qui, come là, la vita è indefinibile. Non è né pura né immonda. né morale né immorale. Mi sarebbe proprio piaciuto di essere un illustratore nel senso tipicamente superficiale dato a questa parola dagli americani. […] Purtroppo non ero capace di esprimere quelle qualità semplici e sane che ammiravo tanto. Tutto ciò che dipingevo sembrava sorpassare i propri limiti. Quando dipingevo ad acquerello, i colori straripavano dal disegno. I volti che disegnavo erano per lo più di gente anziana e più brutta di quel che non avessi avuto intenzione di fare. Quanto mi sarebbe piaciuto di saper riprodurre il soave, il delicato, il normale e il bello.