Walter Gropius
Walter Gropius, La nuova architettura e il Bauhaus, 1935
[…] Nella realizzazione di questo progetto mi proposi di risolvere il delicato problema di come conciliare la creatività del design con la perizia tecnica. Questo significava trovare un nuovo, e fino ad allora inedito, genere di collaboratore che potesse esser formato a una uguale competenza in entrambi i campi. Come salvaguardia contro ogni possibile recrudescenza del vecchio spirito dilettantesco artigianale, richiesi a tutti gli allievi (anche agli studenti di architettura) di impegnarsi formalmente a completare il proprio apprendistato, tramite una dichiarazione ufficiale registrata presso le associazioni di categoria locali. Insistevo sulla necessità di una pratica manuale, non in quanto fine a se stessa, o con l’idea di trarne vantaggio producendo occasionalmente oggetti di artigianato, ma come metodo formativo completo per la mano e per l’occhio, oltre che come primo stadio pratico per l’elaborazione e la gestione di processi industriali.
I laboratori del Bauhaus erano in effetti luoghi in cui si progettavano nuovi modelli per articoli di attualità o si miglioravano, in vista della loro produzione di massa, prototipi già esistenti. Per creare forme-tipo che soddisfacessero tutti i requisiti tecnici, estetici e commerciali occorreva un’équipe di prima qualità, un gruppo di persone dotate di un solido bagaglio di cultura generale, ampiamente competenti sia sul versante pratico e meccanico del design, sia su quello delle sue leggi teoriche e formali. Benché la maggior parte dei componenti di questi prototipi venisse naturalmente realizzata a mano, si richiedeva comunque ai costruttori un’intima conoscenza dei metodi di produzione e di assemblaggio in fabbrica, che si differenziano radicalmente da quelli della produzione artigianale. È all’intrinseca specificità di ogni macchina che si deve l’impronta di “autenticità” e di “bellezza individuale” che essa può conferire ai propri prodotti; l’utilizzo delle macchine per un’insulsa imitazione degli oggetti artigianali porta inevitabilmente con sé il marchio dell’espediente, del sostituto di ripiego. Il Bauhaus rappresentò una scuola di pensiero fondata sulla convinzione che la differenza tra industria e artigianato sia dovuta, più che alla diversa natura degli strumenti utilizzati nei due settori, al diverso tipo di organizzazione del lavoro nei due ambiti: da una parte la suddivisione del lavoro, dall’altra il totale controllo dell’intero processo produttivo da parte del singolo artigiano. Industria e artigianato possono esser visti come due polarità opposte, in graduale avvicinamento: l’artigianato è infatti già entrato in un processo di trasformazione della sua natura tradizionale e si può ipotizzare che in futuro il campo a esso riservato sarà essenzialmente quello degli stadi preparatori dell’elaborazione di nuove forme-tipo sperimentali per la produzione di massa.
Continueranno a esistere, naturalmente, artigiani di talento che riusciranno a realizzare e a immettere sul mercato i propri prodotti. Il Bauhaus, tuttavia, scelse consapevolmente di concentrarsi su quello che ormai è divenuto un compito di suprema urgenza: evitare l’asservimento del genere umano alla macchina attraverso il conferimento di contenuto di realtà e di significato ai prodotti di quest’ultima, scongiurando dunque il pericolo di un’anarchia meccanicista che potrebbe invadere la casa. Ciò si è tradotto in un impegno costante teso all’elaborazione di prodotti specificatamente studiati per la produzione di massa. Il nostro scopo era quello di eliminare tutti gli svantaggi della macchina senza sacrificare i reali lati positivi. Ambivamo a realizzare standard di eccellenza, non a creare effimere novità. […]