Pink Floyd Show
Pink Floyd Show, in “Amadeus”, 330, Milano, maggio 2017
Per comprendere l’impatto dei Pink Floyd anche sul mondo della visione (“The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains”, Victoria & Albert Museum, Londra, sino al 1 ottobre 2017) si può partire da uno spezzone del film I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, del 2006. Nel mondo stravolto dalle distruzioni immaginato da P.D. James figura anche il ministro delle arti, che abita in un luogo in cui sopravvivono le spoglie della cultura artistica occidentale, Guernica di Picasso, un mutilo David michelangiolesco, mentre fuori dalla finestra svolazza la maialina Algie, leggendaria dal 1977 perché appare sospesa sopra la centrale elettrica di Battersea sulla copertina dell’inquietante e politicamente profetico Animals dei Pink Floyd.
Algie non è l’unica icona visiva prodotta dalla storia dei Pink Floyd. Fece epoca nel 1967 la copertina psichedelica concepita da Vic Singh per The Piper at the Gates of Dawn, il primo album in studio del gruppo, e leggendari sono la mucca fotografata per Atom Heart Mother, 1970, e il prisma su fondo nero del capolavoro The Dark Side of the Moon, 1973, concepiti dallo studio Hipgnosis di Storm Thorgerson e Aubrey Powell.
Non si tratta di un fenomeno di gusto. I Pink Floyd, nati nel 1965 su iniziativa di Syd Barrett, che si affianca il bassista e compositore Roger Waters, il tastierista Richard Wright e il batterista Nick Mason, e che viene sostituito progressivamente dopo il 1967 dal chitarrista David Gilmour quando le droghe e il disagio mentale lo portano all’impotenza creativa, sono i pionieri di un’idea di creazione che, nello spirito di quei tempi, tende a sperimentare e vivificare integrandoli tutti gli incroci disciplinari possibili.
I Pink Floyd comprendono subito l’importanza che la visività può avere nella ricerca sonora. È vero che nel 1971 rifiutano a Stanley Kubrick il permesso di utilizzare Atom Heart Mother nel film Arancia Meccanica, ma è perché in realtà preferiscono considerare il proprio apporto come organico alla concezione di una pellicola e non accessorio, come è avvenuto appunto nel 1969 in More di Barbet Schroeder, con il quale realizzano tre anni dopo anche La Vallée. Il cinema appartiene alla loro stessa anima musicale, alla loro idea complessa di esperienza estetica: nel 1971 iniziano a lavorare con il regista Adrian Maben, ossessionato dal rapporto tra musica e arti visive – sarà poi autore di straordinari documentari su Magritte e Bosch – a un suggestivo film/concerto girato nell’anfiteatro romano di una Pompei deserta, che esce nel 1974.
D’altronde la loro concezione è sempre musicalmente complessa, va ben oltre i limiti angusti del rock e d’una tradizione fatta di singoli brani dalla struttura semplice e dall’esecuzione tecnicamente limitata. Ogni album è un progetto organico, spinto tecnicamente alle soglie dell’avanguardia, a cominciare da Atom Heart Mother, un “sonic poem” di oltre 23 minuti cui è chiamata a suonare anche un’orchestra classica. L’implicazione di un ensemble musicale tradizionale non è una novità, né la contaminazione fra avanguardia e storia, se si pensa che la “jazz symphony” di Duke Ellington Black, Brown and Beige è del 1943, e che proprio alla fine degli anni ’60 molti autori coinvolgono orchestre classiche in composizioni d’alta ambizione: da Days of Future Passed, ispirato da Dvořák, dei Moody Blues, 1967, a Concerto for Group and Orchestra, 1969, composto da John Lord per i Deep Purple, all’italianissimo Concerto grosso scritto da Luis Enríquez Bacalov per i New Trolls, 1971.
Nel 1971 i Pink Floyd concepiscono un’altra lunga suite, Echoes, per l’album Meddle, proprio mentre i colleghi Emerson, Lake & Palmer danno l’affine Tarkus e, nello stesso anno e, per tornare alle contaminazioni con il classico, una reinvenzione delle Pictures at an Exhibition di Musorgskij.
Si giunge alla fusione estrema, un articolato progetto musicale unitario che si pensa organicamente anche come sontuoso spettacolo live da palcoscenico e come film, sulla scia di quello che era stato solo tentato da Frank Zappa con 200 Motels sempre in quel fatidico 1971.
Mentre il gruppo comincia a disunirsi, la creatività potente di Waters emerge in tutta la sua forza nel 1979 in The Wall, vera struttura di poema in musica destinato alla messa in scena, un’opera rock si diceva allora con termine ambiguo: e il film che Waters ne trae con Alan Parker nel 1982 ne è il risultato definitivo.