Tra forma e colori, in “Amadeus”, 328, Milano, marzo 2017

Due mostre riportano al momento straordinario, intorno al 1910, in cui le arti visive e la danza convergono in modo decisivo contribuendo a una rivoluzione che vivifica entrambe. L’artefice è Léon Bakst, celebrato alla Bibliothèque-musée de l’Opéra di Parigi (“Bakst, des Ballets russes à la haute couture”), un ebreo bielorusso (il cognome vero è Rosenberg) che porta a Parigi il gusto sontuoso e fiabesco per i colori – Gabriele d’Annunzio lo definisce “mago dei colori” – che vengono dalle tradizioni popolari venate d’Oriente della sua cultura d’origine, filtrato da un’esperienza diretta del clima francese di fine ‘800: dopo aver studiato a San Pietroburgo è allievo del sensuale Jean-Léon Gérôme, attraverso il quale si nutre del gusto per l’antico che fa del mondo greco e romano un repertorio infinito di motivi.

Bakst, Nijinsy dans La Péri, 1911

Bakst, Nijinsy dans La Péri, 1911

Alla scena Bakst non può non arrivare, dal momento che quando fonda nel 1898 il movimento e la rivista “Mir iskusstva”, Il mondo dell’arte, che ragiona di simbolismo ma vuole mantenere salda la grande tradizione culturale russa, i suoi compagni di strada sono Alexandre Benois e Segej Diaghilev, che sono cresciuti all’ombra del filoeuropeo principe Serge Volkonski, responsabile dei teatri imperiali, e di Marius Petipa, grande coreografo francese prestato alla Russia.

Dopo la prima rivoluzione del 1905 Diaghilev fonda a Parigi i Balletti russi e al suo fianco è Bakst, pittore se possibile ancora più talentoso di Benois (il quale è pure della partita), che sarà responsabile di quella che Marcel Proust chiama “l’efflorescenza prodigiosa dei Balletti russi”. Sofisticato ritrattista e illustratore di vaglia, Bakst reinventa il costume teatrale ragionando “da pittore”, e mantenendosi aperto a esperienze visive diverse: tra i suoi committenti sono il tout Paris dell’epoca, dalla marchesa Casati ai Rothschild, e i creatori di moda d’avanguardia, da Paul Poiret, che nel 1911 lancia addirittura il profumo Schéhérazade dopo il successo della messinscena della pièce di Rimskij-Korsakov interpretata da Ida Rubinstein e Vaslav Nijinsky, a Jeanne Paquin, che attinge largamente alle suggestioni antiche e orientali che vengono da Bakst. Sui suoi costumi disegnati e dipinti si ragiona ben al di fuori delle scene, dunque, e fitti sono i dialoghi che l’artista intrattiene anche con Picasso e Matisse.

Bakst, Narcisse, 1911

Bakst, Narcisse, 1911

Il 29 maggio 1912  ad ammirare l’Après-midi d’un faune di Debussy concepito da Bakst per i Balletti russi e danzato da Nijinsky è anche il grande scultore Auguste Rodin, che subito gli chiede di posare per lui: le sedute si susseguono in luglio e l’artista ne trae un capolavoro innovativo.

Da alcuni anni, documenta una mostra al Courtauld Institute di Londra (“Rodin and Dance. The Essence of Movement”), Rodin esplora il corpo danzante. Nel 1906 si innamora delle danzatrici khmer del Balletto reale viste a Parigi al Pré Catelan in occasione della visita ufficiale del re cambogiano Sisowath, al punto da seguirle a Marsiglia, dove si esibiscono all’Esposizione Coloniale, e realizzare in una settimana centocinquanta disegni delle loro pose. A Marsiglia incontra anche Hanako, attrice e danzatrice giapponese che gli concede di posare per lui: ne nasce una serie di una sessantina di sculture e un gruppo di schizzi energeticamente strepitosi, vera e propria introduzione alla riflessione dell’artista sul corpo in movimento.

Quando Rodin ha la meno occasionale possibilità di fare lavoro d’atelier con Alda Moreno, ballerina acrobatica all’Opéra Comique di Parigi, nel 1911, il suo privatissimo ragionamento giunge a una maturità nuova. Non le pose, classiche o anticlassiche non importa, sono in gioco, ma la capacità del corpo di farsi spazio, tensione di linee di forza che lo fendono e lo animano.

Rodin, Nijinsky, 1912

Rodin, Nijinsky, 1912

A Moreno lo scultore chiede posizioni estreme, in cerca del punto in cui l’organismo fisico su cui la scultura ha edificato la propria identità storica paia al punto di metamorfizzarsi in una pura dinamica della quale neppure importa il controllo. È comunque, per lui una vera e propria Création de la femme, come intitola il ciclo di sculture che ne nascono. Poi ha l’altra rivelazione, quella di Nijinsky, l’uomo che sa volare, colui che disegna davvero nell’aria usando il proprio corpo.