Alexander Calder, Mobiles, in The Painter’s Object, London 1937

Quando un artista offre dei chiarimenti su quan­to sta facendo deve generalmente agire in uno dei seguenti modi: o confutare quello che ha preceden­temente spiegato, o far sì che la sua opera successi­va si accordi con questa spiegazione. Le teorie pos­sono rivelarsi di grande utilità all’artista stesso, ma non dovrebbe divulgarle. Quanto mi accingo a dire riguarda ciò che ho già realizzato e non ciò su cui sto attualmente lavorando…

Calder, Little mobile, 1937

Calder, Little mobile, 1937

Vorrei fornire una descrizione dello scenario che ho progettato per il Socrate di Satie ad Hartford in quanto fornisce un’indicazione su buona parte del mio lavoro successivo.

È assente ogni forma di danza. Interpretato da due persone, un uomo e una donna, il canto era l’e­lemento principale della rappresentazione. L’aper­tura del proscenio misurava tre metri e mezzo per nove. La messinscena constava di tre elementi. Se­condo il punto di vista del pubblico, sulla sinistra vi era un disco rosso di circa settantasei centimetri di larghezza. In prossimità del margine sinistro vi era un rettangolo verticale poggiato a terra di no­vanta centimetri per tre metri. Sulla destra, due anelli metallici ad angolo retto di due metri circa erano adagiati sull’asse orizzontale, con un gancio a un’estremità e una carrucola all’altra in modo che li si potesse far ruotare in entrambe le direzioni non­ché sollevare e abbassare. Il dialogo era complessivamente suddiviso in tre parti; le prime due della durata di nove minuti ciascuna, la terza di diciotto. Nel corso della prima parte il disco rosso si muove­va ininterrottamente, prima verso l’estrema destra e in seguito verso l’estrema sinistra, correndo sul fi­lo fino a ritornare alla sua posizione di partenza al termine di un ciclo che si compiva in nove minuti. La seconda parte esordiva con un minuto senza nessun movimento, poi gli anelli metallici prende­vano a ruotare verso il pubblico, e dopo circa tre minuti si abbassavano verso terra. Dunque si arre­stavano e riprendevano a muoversi nella direzione opposta e, di seguito, nella direzione originale. In­fine si dirigevano di nuovo verso l’alto, compiendo così la seconda parte. Nella terza il rettangolo bian­co verticale si inclinava lievemente sulla destra fino ad adagiarsi a terra sul lato lungo. Dopo una pausa compiva una lenta caduta in direzione opposta al pubblico, con la faccia rivolta a terra. Poi si risolle­vava con l’altra faccia, nera, rivolta verso il pubbli­co; si ergeva di nuovo in posizione verticale, sem­pre dello stesso colore, e si allontanava sulla destra. Verso la fine, il disco rosso si muoveva a sinistra. L’intero ciclo, con i suoi movimenti lievi, aderiva perfettamente alla musica e alle parole.

Per un paio di anni a Parigi ho posseduto un picco­lo oggetto danzante, costruito su una tavola con delle carrucole in cima all’intelaiatura. Si potevano mettere in movimento i dischi colorati da una parte all’altra del rettangolo, far sventolare le bandierine o i coni, farli danzare o persino inscenare una battaglia tra di loro. Alcuni facevano mostra di movi­menti ampi, semplici e maestosi; altri erano conte­nuti e inquieti. Ho provato altresì a collocarli all’esterno, sospesi agli alberi con delle corde, finché io e Martha Graham abbiamo ideato un balletto nello stesso spirito. È per me molto stimolante accrescere le dimensioni e lavorare in questo modo in scala naturale. Una volta ho visto un film girato in una cava di marmo e la leggerezza del movimento delle grandi masse di marmo, imposto per necessità dal loro peso imponente, era assai gradevole. Ri­guardo al balletto meccanico la mia idea era di rea­lizzarlo indipendentemente dai ballerini, se non quella di escluderli nel modo più assoluto. Ho così escogitato un sistema grafico per registrare i movi­menti del balletto, segnando le traiettorie con ges­setti o pastelli di colori differenti.

Ho costruito diversi oggetti per l’esterno: tutti reagiscono al vento e ricordano un veliero per il lo­ro modo di rispondere più prontamente a un certo tipo di corrente. Non è possibile realizzare un og­getto che reagisca a ogni tipo di vento. Avevo inol­tre l’abitudine di sollecitare alcuni mobiles mediante piccoli motori elettrici e, sebbene abbia og­gi rinunciato in un certo senso a tale pratica, trovo l’idea ancora valida perché permette di produrre un movimento positivo anziché uno irregolare, benché talvolta gradisca anche quest’ultimo. Con una spin­ta meccanica puoi tenere l’oggetto sotto controllo come nella coreografia di un balletto e sovrapporre diversi movimenti, anche in gran numero, per mez­zo di camme e altri dispositivi meccanici. A ogni modo, associando uno o due movimenti semplici a diversi lassi di tempo si ottiene senza dubbio l’ef­fetto più elegante perché questi, sebbene elementa­ri, si prestano a infinite combinazioni.