René Magritte
René Magritte, da La linea della vita, in Scritti, I, Milano 2003
Fra il 1925 e il 1926 dipinsi una sessantina di quadri che furono esposti alla galleria Le Centaure a Bruxelles. La testimonianza di liberazione che essi portavano fece naturalmente insorgere la critica, dalla quale non mi attendevo del resto nulla di interessante. Mi si rimproverò tutto. Mi si rimproverò l’assenza di certe cose e la presenza di altre.
L’assenza di qualità plastiche, ben rilevata dalla critica, era stata in effetti compensata da una rappresentazione oggettiva degli oggetti, chiaramente compresa e intesa da coloro il cui gusto non è stato guastato da tutta la letteratura fatta attorno alla pittura. Questo modo distaccato di rappresentare degli oggetti mi pare dipenda da uno stile universale in cui le manie e le piccole preferenze di un individuo non si esprimono più. Usavo, per esempio, un azzurro chiaro là dove si doveva rappresentare il cielo, contrariamente agli artisti borghesi che rappresentano il cielo per aver l’occasione di usare quel certo azzurro accanto a quel certo grigio, rivelando così le loro preferenze cromatiche. Quanto a me, trovo che queste povere piccole preferenze non ci riguardano affatto e che certi artisti ci danno, con la più grande serietà, uno spettacolo assai ridicolo di se stessi.
Il pittoresco tradizionale, l’unico autorizzato dalla critica, aveva ottime ragioni per essere assente nei miei quadri: lasciato isolato, il pittoresco è inoperante e si nega ogni volta che riappare identico a se stesso. Ciò che ne costituiva infatti il fascino quando ancora non era divenuto tradizionale era l’inatteso, la novità di una disposizione e l’estraneità. A furia di ripetere taluni effetti di quest’ordine, il pittoresco è divenuto di una monotonia disgustosa. Come può il pubblico rivedere senza nausea, a ogni “Salon du Printemps”, quel vecchio muro di chiesa illuminato dal sole o dalla luna? Quelle cipolle e quelle uova, una volta a destra e una volta a sinistra dell’inevitabile recipiente di rame dai riflessi catalogati? Oppure quel cigno che dall’antichità si appresta a penetrare quelle migliaia di Lede?
Penso che il pittoresco possa nondimeno essere usato come qualsiasi altro elemento, purché venga situato in un ordine nuovo o in certe circostanze; per esempio: un mutilato di guerra privo di gambe farà sensazione al ballo di corte. Il pittoresco tradizionale del viale del cimitero in rovina mi sembrava magico nella mia infanzia perché lo scoprivo emergendo dalla notte delle cripte.
Mi si rimproverò anche l’equivoco dei miei quadri. Ma quale chiara confessione da parte di coloro che se ne lagnano: essi confessano ingenuamente l’esitazione che provano quando, abbandonati a se stessi, non dispongono della garanzia di qualche vago esperto che li rassicuri, della consacrazione del tempo o di una parola d’ordine qualsiasi.
Mi si rimproverò la rarità delle mie preoccupazioni: singolare rimprovero da parte di individui per cui la rarità è segno di grande valore.
Mi si rimproverarono ancora molte altre cose, e infine di presentare nei miei quadri oggetti situati in posizioni in cui non li vediamo mai. Si tratta nondimeno della realizzazione di un desiderio reale, se non propriamente cosciente, per la maggior parte degli uomini. In effetti già il pittore banale cerca, nei limiti prefissati, di modificare un po’ l’ordine in cui vede gli oggetti. Si permetterà timide audacie, vaghe allusioni. In considerazione della mia volontà di far urlare il più possibile gli oggetti più familiari, l’ordine nel quale gli oggetti si collocano di solito doveva essere evidentemente sconvolto; le crepe che noi vediamo nelle nostre case e sul nostro volto, mi sembravano più eloquenti in cielo; le gambe di tavolo in legno tornito perdevano l’innocente esistenza che si presta loro se apparivano dominare d’improvviso una foresta; un corpo di donna librantesi al di sopra di una città sostituiva vantaggiosamente gli angeli che non mi apparvero mai; trovavo molto utile vedere il di sotto della Vergine Maria e la mostrai in questa nuova luce; i sonagli di ferro appesi al collo dei nostri mirabili cavalli preferivo credere che spuntassero come piante pericolose al bordo di abissi…
Quanto al mistero, all’enigma rappresentato dai miei quadri, dirò che era questa la prova più convincente della mia rottura con l’insieme delle assurde abitudini mentali che generalmente sostituiscono il sentimento autentico dell’esistenza.
Anche i quadri che dipinsi negli anni dal 1925 al 1926 furono il risultato della ricerca sistematica di un effetto poetico sconvolgente che, ottenuto mettendo in scena oggetti tratti dalla realtà, desse al mondo reale da cui tali oggetti erano presi un senso poetico nuovo, in virtù di uno scambio del tutto naturale.
I mezzi da me impiegati furono analizzati in un’opera di Paul Nougé intitolata Les Images défendues. Questi mezzi sono innanzitutto lo straniamento degli oggetti, per esempio: il tavolo Luigi Filippo sulla banchisa, la bandiera nel letamaio. Era opportuno che la scelta degli oggetti da trasportare in ambienti estranei fosse limitata a oggetti molto familiari per dare allo straniamento la massima efficacia. Un bambino in fiamme ci colpirà in effetti più che un pianeta lontano che si consumi. Paul Nougé osservava giustamente che certi oggetti, privi di per se stessi di un grande senso affettivo, conservavano questo senso preciso nello straniamento. Così la biancheria femminile era particolarmente refrattaria a ogni impresa imprevista.
La creazione di nuovi oggetti; la trasformazione di oggetti noti, il mutamento di materia per certi oggetti: un cielo di legno, per esempio; l’uso delle parole associate alle immagini; la denominazione erronea di un’immagine; la messa in opera di idee suggerite da amici; la rappresentazione di certe visioni del dormiveglia furono a grandi linee i mezzi da me usati per costringere gli oggetti a diventare infine sensazionali.
Paul Nougé, in Les Images défendues, osserva anche che i titoli dei miei quadri sono comodi ai fini della conversazione ma non sono spiegazioni. I titoli sono scelti in modo tale da impedire anche di situare i miei quadri in una regione rassicurante che lo svolgimento automatico del pensiero potrebbe trovar loro allo scopo di sottovalutarne la portata. I titoli devono essere una protezione supplementare, destinata a scoraggiare qualsiasi tentativo di ridurre la vera poesia a un gioco senza conseguenze.