Paul Klee
Paul Klee, Vie allo studio della natura, 1923, in Confessione creatrice e altri scritti, Milano 2004
Il dialogo con la natura resta, per l’artista, conditio sine qua non. L’artista è uomo, lui stesso è natura, un frammento di natura nel dominio della natura.
Mutano solo, a seconda della posizione dell’uomo in rapporto al suo raggio d’azione entro tale dominio, il numero e il tipo delle vie da percorrere, tanto nella produzione artistica quanto nello studio, a quella connesso, della natura.
Spesso le vie sembrano nuovissime, senza forse esserlo in sostanza. Nuova è solo la loro combinazione, o meglio esse sono nuove rispetto al numero e al tipo delle vie di ieri. Esser nuovo in rapporto allo ieri è una caratteristica pur sempre rivoluzionaria, anche se il grande mondo del passato non ne viene scosso. Non per questo si deve sminuire il piacere di quella novità; e l’ampia visione retrospettiva della storia deve solo salvaguardarci dalla ricerca spasmodica della novità a spese della naturalezza.
Tipico modo di professare l’arte e di studiare a tal fine la natura era ieri una indagine, si può dire, meticolosamente differenziata del fenomeno. Io e tu, l’artista e il suo oggetto, tentavano il contatto per la via fisica, ottica, attraverso lo strato d’aria interposto tra l’io e il tu. Per questa via si ottennero eccellenti immagini della superficie dell’oggetto attraverso il filtro dell’aria, e fu elaborata l’arte della visione ottica, rispetto alla quale restò negletta l’arte della considerazione e visualizzazione di impressioni e rappresentazioni non ottiche.
Il retaggio dell’indagine del fenomeno non deve quindi essere sottovalutato, ha solo bisogno di venir ampliato. Perché oggi quell’unica via non corrisponde più a tutti i nostri bisogni, come del resto neppure in passato rappresentava l’unico bisogno. L’artista di oggi è qualcosa di più di una perfezionata macchina fotografica, è più complesso, più ricco, più esteso. Egli è creatura terrestre e insieme creatura nell’ambito del tutto – creatura vivente su un astro tra gli astri.
Un po’ alla volta, tutto questo arriva a esprimersi e nell’interpretazione dell’oggetto naturale s’inserisce una tendenza alla totalità (sia l’oggetto pianta, animale o uomo, e si trovi esso nello spazio della casa, del paesaggio o del mondo), per cui subito s’instaura una interpretazione più vasta dell’oggetto in sé.
L’oggetto si dilata al di là del proprio fenomeno, dal momento che noi conosciamo il suo interno, e sappiamo che la cosa è più di ciò che la sua apparenza dà a vedere. L’uomo disseca la cosa e ne rivela l’interno in sezioni, e con ciò il carattere dell’oggetto si dispone secondo il numero e la specie dei tagli necessari. È questa l’interiorizzazione visuale, vuoi mediante impiego di un semplice coltello affilato, vuoi con l’ausilio di strumenti più perfezionati, i quali permettono una chiara immagine della struttura materiale ovvero della funzione materiale.
Il complesso delle esperienze così raccolte consente all’io di trarre, muovendo dalla esteriorità ottica dell’oggetto, conclusioni sull’interno dello stesso, per intuizione, in quanto l’io viene sollecitato già lungo la via ottico-fisica del fenomeno a conclusioni intuitive che, più o meno ramificate a seconda della direzione presa, possono elevare l’impressione fenomenica a un’interiorizzazione funzionale. Prima anatomicamente e ora più fisiologicamente.
Al di là di questi metodi di penetrante intuizione dell’oggetto si spingono le vie che indicheremo, e che conducono alla umanizzazione dell’oggetto, vie che pongono l’io e l’oggetto in un rapporto di risonanza che trascende i fondamenti ottici. In primo luogo, la via non ottica della comune radice terrestre che dal basso sale all’occhio dell’io; e in secondo luogo la via, del pari non ottica, della comunanza cosmica, che proviene dall’alto. Vie che, congiuntamente, sono metafisiche.
È da rilevare qui che attraverso lo studio intenso si arriva all’esperienza diretta e che in tal modo i processi cui si è accennato si fanno più densi e più semplici. Sarà ancora opportuno aggiungere, per una maggior chiarezza, che la via inferiore procede nell’ambito della staticità e produce forme statiche, quella superiore invece procede nell’ambito del dinamico. Lungo la via inferiore, gravitante per il centro della terra, s’incontrano i problemi dell’equilibrio statico, che si possono caratterizzare con l’espressione: “Star fermi, nonostante tutte le probabilità di cadere”. Alla strada superiore conduce il desiderio di liberarsi dal vincolo terrestre, attraverso il nuoto e il volo fino al libero slancio, all’incondizionata mobilità.
Tutte le vie s’incontrano nell’occhio e conducono, convertite in forma a partire dal loro punto d’incrocio, alla sintesi di visione esterna e contemplazione interiore. Dal suddetto punto d’incrocio si originano opere manuali completamente diverse dall’immagine ottica di un oggetto e che tuttavia non la contraddicono dal punto di vista della totalità.
Lo studioso, mediante l’esperienza raccolta lungo le diverse vie e da lui convertita in lavoro, ha le carte in regola per stare al di là del livello raggiunto nel suo dialogo con l’oggetto naturale. L’essersi sviluppato nell’intuizione e osservazione della natura lo autorizza, a mano a mano che si protende verso la visione del mondo, alla libera figurazione di immagini astratte, le quali attingono, trascendendo il voluto e lo schematico, una nuova naturalezza, la naturalezza dell’opera. Egli crea allora un’opera oppure partecipa alla creazione di opere a immagine e somiglianza delle opere di Dio.