Josef Albers
Josef Albers, L’arte come esperienza, in “Progressive Education”, ottobre 1935
Non sempre scienza e vita vanno d’amore e d’accordo. Talvolta sono in competizione, quasi come teoria e pratica. A scuola ciò è evidente nell’insegnamento delle scienze. Da bambini abbiamo dovuto imparare la storia naturale, materia che cerca di classificare e analizzare i fenomeni della natura. Ma ben presto abbiamo compreso che gli erbari pressati non sono affatto la natura, e che persino l’erborista è un uomo rinsecchito come i suoi campioni; o che l’anatomia ha a che fare, per lo più, con corpi morti.
Dopo questa funerea esperienza con le foglie secche, le civette, gli scoiattoli impagliati, abbiamo sentito un profondo bisogno di uscire all’aperto per scoprire le connessioni tra gli elementi e abbeverarci, anziché ai dati della classificazione scientifica, ai fatti, alle funzioni e alle condizioni essenziali della vita – in breve, alla vita stessa.
La vita è cambiamento – giorno e notte, caldo e freddo, sole e pioggia. E piuttosto che nei fatti, agisce negli interstizi, negli intervalli fra un fatto e l’altro. Le regole sono il frutto dell’esperienza e vengono dopo; la scoperta delle regole è più importante della loro applicazione. Le classificazioni del botanico Linneo sono il risultato di numerose esperienze e intense indagini. Come avremmo potuto condurre gli studi botanici durante l’infanzia partendo dai suoi esiti finali?!
Credo sia giunto il momento di operare un simile cambiamento di metodo anche nell’insegnamento dell’arte, non considerando più l’arte come una delle discipline storiche, ma concependola come parte della vita. Dicendo ‘arte’ intendo le belle arti e le arti applicate, ma anche la musica, la drammaturgia, la danza, il teatro, la fotografia, il cinema, la letteratura e via dicendo.
Se passiamo in rassegna l’attuale produzione artistica, se analizziamo la direzione che prendono i nostri studi artistici in relazione al passato, al presente e anche al futuro, le conclusioni sono evidenti: diamo troppa importanza al passato e, spesso, siamo più interessati a tracciare una linea di continuità nello sviluppo storico piuttosto che a scoprire quali, fra i problemi dell’arte, appartengono alla nostra vita, o a mantenerci aperti e recettivi nei confronti degli esiti artistici più nuovi o addirittura avveniristici.
Non mi si fraintenda. Ammiro l’arte del passato, soprattutto la più antica. Ma non dobbiamo trascurare il fatto che si tratta di cose che non appartengono alla nostra epoca, e che il loro studio ha il solo scopo di comprendere lo spirito del tempo in cui sono nate o, cosa ancora più importante, di avere un termine di paragone per il nostro lavoro. Ciò che è già accaduto non è necessariamente più importante di ciò che sta avvenendo ora.
Penso che dobbiamo passare dai dati allo spirito, dalla persona alla situazione, o dalla biografia alla biologia in senso stretto. Nello specifico, per quanto riguarda i risultati dell’arte, dobbiamo passare invece dal contenuto al senso, dal ‘cosa’ al ‘come’; riguardo le finalità dell’arte, dalla rappresentazione alla rivelazione.
Per parlare in termini più pragmatici dovremmo, ad esempio, cercare di vedere una sedia al di là delle sue caratteristiche funzionali, come una creatura vivente e, se si vuole, forse come una persona, come un operaio, un servo, un contadino o un aristocratico e, a prescindere dalle caratteristiche di stile, come un dispositivo atto a sostenerci, a portarci, a circondarci o abbracciarci, a darci riposo o a rappresentarci. Dovremmo riconoscere le diverse funzioni di una sedia in relazione al nostro soggiorno, alla veranda, al tavolo, alla scrivania.
Per parlare in termini generali dovremmo studiare e imparare in tutte le discipline artistiche, per esempio, cosa è costruttivo e cosa è decorativo, cos’è struttura e cos’è consistenza, oppure, esaminare la forma meccanica e la forma organica e capire quando sono opposte, sovrapposte o compatibili. Comprendere inoltre il risultato che si ottiene dal parallelismo e dalla compenetrazione, dall’ingrandimento e dalla riduzione, in modo che dopo una qualsiasi analisi possiamo chiaramente vedere lo scarto fra l’intento e l’effetto.
Per parlare in termini professionali dovremmo renderci conto, ad esempio, che anche la musica ha a che fare con la proporzione e con i valori di linea e di volume, che la letteratura può essere statica e dinamica, in staccato e in crescendo, e che le poesie possono essere colorate. E ancora che un dramma teatrale non ha solo un culmine drammatico, ma anche uno ottico e uno acustico, che ogni espressione artistica è fornita di qualità musicali, che ogni opera, infine, è costruita (ovvero composta), possiede un ordine, palese o nascosto che sia.
Per dirla in breve tutto ha forma, e ogni forma ha significato. Cultura è la capacità di riconoscere questa qualità. Se siete d’accordo con me sul fatto che la religione praticata solo la domenica non sia affatto religione, allora condividerete anche che godere l’arte solo nei musei, o usarla come fonte di svago o ricreazione nei momenti di disimpegno non dimostra alcuna comprensione dell’arte.
Se l’arte è un aspetto essenziale della cultura e della vita, allora non dobbiamo più far sì che i nostri allievi diventino storici dell’arte o imitatori del passato ma, piuttosto, dobbiamo educarli alla visione dell’arte, all’operare artistico e, ancor più, al vivere artistico. Poiché la visione e il vivere artistici sono un vedere e un vivere più profondi – e la scuola deve essere vita – dal momento che sappiamo che la cultura è ben più della conoscenza, a scuola abbiamo il dovere di porre tutte le arti, relegate finora in un ruolo decorativo, al centro dell’educazione, come stiamo cercando di fare al Black Mountain College.
Per mettere a fuoco questo obiettivo, dobbiamo promuovere nella scuola una connessione più stretta, o meglio una compenetrazione, di tutte le discipline artistiche e degli intenti artistici della vita scolastica, e ciò dimostrerà che i problemi sono in gran parte gli stessi in ogni settore delle arti.
Impareremo dall’analogia dei problemi comuni – ad esempio, problemi di equilibrio e proporzioni – che si tratta di questioni che riguardano anche la nostra vita quotidiana.
Mentre si supera il separatismo accademico, a scuola dobbiamo mettere in relazione quanto più è possibile scienza e arte. Non è forse vero, ad esempio, che alcuni periodi storici sono meglio identificati dalla loro architettura o dalla loro iconografia, piuttosto che dai loro conquistatori e dalle loro guerre? E che alcuni costumi ci dicono, spesso, molto di più di tante regine? In generale, la storia dovrebbe considerare la vita più importante della morte e la cultura come una cosa più seria della politica.
Come giudichereste, nella scuola, un economista, un chimico, un geografo che viva soltanto nel diciannovesimo secolo? O un corso di scrittura che non affronti mai i problemi della contemporaneità? E che dire di un artista, di un insegnante di lingue o di un musicista di simili gusti?! Cerchiamo di essere più giovani con i nostri allievi, e interessiamoci della nuova architettura e del nuovo design dell’arredamento, della musica moderna e delle immagini moderne. Dovremmo discutere film e mode, cosmetici e articoli di cancelleria, pubblicità, insegne commerciali e quotidiani, canzoni e jazz. L’allievo e la sua crescita sono più importanti del docente e del suo background.
Il nostro obiettivo è lo sviluppo complessivo di un giovane dallo sguardo e dalla mente aperti, che indaghi a fondo i crescenti problemi spirituali del nostro tempo, che non sia refrattario all’ambiente in cui vive e che guardi avanti con la consapevolezza che interessi e bisogni cambiano. Un giovane che abbia sufficiente spirito critico da riconoscere che le cosiddette ‘buone vecchie forme’ talvolta possono essere troppo utilizzate e alcune opere che per i nostri genitori sono capolavori a noi non hanno nulla da dire; un giovane che abbia rispetto per la serietà del lavoro e delle opere, anche se inizialmente potranno sembrargli nuove e strane e che sia capace di sospendere il giudizio fino a quando non abbia le idee sufficientemente chiare per giudicare, consapevole che la propria esperienza, i frutti della sua ricerca e un giudizio indipendente valgono molto di più della riproposizione della conoscenza contenuta nei libri.
Sappiamo che da brevi studi scolastici non possono formarsi critici d’arte competenti. Pertanto, al Black Mountain siamo soddisfatti quando un nostro allievo, ad esempio, riconosce una connessione fra un’immagine moderna e la musica di Bach, o una relazione fra pattern tessili e la musica; o, ancora, se è in grado di distinguere fra la forma-carattere di una brocca di porcellana e quella di una brocca di vetro o di alluminio; o di riconoscere la differenza fra una pubblicità del 1925 e una del 1935; o quando scopre che nell’arte possiamo ancora fare esperienza della rivelazione e della meraviglia.
Vogliamo un allievo che non veda l’arte né come un salone di bellezza né come imitazione della natura, che la veda come qualcosa di più di un ornamento o di un intrattenimento, che la senta come una documentazione spirituale della vita e capisca che la vera arte è vita essenziale e la vita essenziale è arte.
Due anni fa, il signor Albers è venuto dal Bauhaus di Dessau a insegnare arte al Black Mountain College, nel North Carolina. Al Bauhaus, è pratica comune coniare parole e inventare perifrasi per esprimere quei significati per cui, nella lingua tedesca, non sembra esservi adeguato lessico. Il signor Albers ha fatto uso di tale tecnica anche in questo articolo scritto in inglese. L’eccellente manoscritto ha messo il redattore di fronte a un dilemma. Il signor Albers aveva qualcosa da dire. Lo ha detto a modo suo e con grande forza. Ogni tentativo di ritoccare il testo per avvicinarlo a un inglese più lineare gli sottraeva significato e forza. Pertanto, l’articolo è pubblicato praticamente nella forma in cui il signor Albers lo ha scritto.