Boille
Boille, peintre à signes, in Luigi Boille. “Per incontrare luoghi di luce”. Retrospettiva 1953-2015, Galleria Marchetti, Roma, 15 ottobre- 15 dicembre 2015
Nel 1957 Luigi Boille appare nel numero 3/4 de “L’esperienza moderna” con Bryen, Capogrossi, Viseux, Bertini, Vandercam, Sterpini, Lacomblez, in Documenti di una nuova figurazione.È uno degli snodi cruciali del suo lavoro, che verrà doppiato l’anno successivo dalle litografie per Le mur derrère le mur di Édouard Jaguer realizzate in compagnia di Novelli, Perilli e Sterpini.
Il figurare nuovo cui s’allude è una formatività ormai tutta intrinseca alla guadagnata, e irrevocabile, autonomia del pittorico che l’artista ha ben maturato degli anni parigini di formazione, in seno all’ambiente vivissimo della “jeune école de Paris” in cui convivono accezioni sempre più sofisticate e criticamente delucidate di art autre e già il brulicare vivido delle eccezioni interne, a cominciare dalla “peinture à signes” di cui dà conto Michel Tapié, il quale con Pierre Restany condivide il merito d’aver subito intuito i talenti del giovane italiano.
Boille è, vocazionalmente verrebbe da dire, della partita. Non affetta posizioni avanguardistiche e non s’ammanta di teoricismi e di volontarismi intellettuali. L’animo suo è, sin da quegli anni, quello di chi cala totalmente la propria ragion d’essere e il proprio sentirsi vivere, la propria interrogazione e la propria coscienza, nella plenitudine esclusiva dell’atto di pittura, senza iati a frapporsi tra l’auscultazione di sé e il proprio fare/pensare pittura.
Costeggia certo il segno di matrice surreale e manifesta un penchant per la calligrafia d’oriente, ma da subito è ben consapevole che l’ulteriore declinazione wolsiana dell’immagine come organismo irrelato ma in sé significante risponde pienamente anche al dettato braquiano secondo cui “i sensi deformano, la mente forma”, in un continuo mediarsi e bilanciarsi tra le pulsioni emotive, le fluenze impreventive dello psichico innescate dall’esperienza del mondo (Mémoire paysage, è il titolo sintomatico di un bel dipinto del 1954) e lo scandirsi auscultato, ripensato, cautelato del gesto, che si decanta sino a ritrovare la propria necessità prima.
Mentre il segno prende progressivamente il sopravvento sulle pâtes cromatiche, facendosi portatore di tensioni vitalistiche e soprattutto d’una precisata responsabilità generativa in termini di spazio, trascolora l’implicazione corporale del suo fare e il luogo della tela assume filigrane di schermo proiettivo: non ambito fisico, concreto, ma spazio mentalizzato e non perciò orfano delle tensioni di una dynamis voluttuosa il cui innesco è fondante della qualità stessa dell’immagine.
Boille va avvedendosi, in questo momento, che è possibile edificare uno statuto di visività il quale sia altro rispetto alla referenza e contemporaneamente non comporti il prostrarsi al “less” calvinista del concretismo geometrico. S’avventura dunque sulla via dell’assunzione definitiva di responsabilità del segno in quanto artefice d’una tessitura in continuo tale da sintetizzare le frequenze storiche dell’ornamento con un mood dinamico e vitalistico, con le gradazioni d’un dipanarsi processuale che possa essere, che sia tutta emotivo.
Due opere, Pittura continua nel 1960 e Hyperbaroque nel 1961, denunciano anche nei titoli l’avviarsi della stagione nuova, altissima, dell’artista.
L’idea di continuo è d’altronde nell’aria e, artefici due compagni di strada come Novelli e Perilli, si concretizza nella nascita del gruppo “Continuità” che annovera, per quanto riguarda le affinità possibili con Boille, Franco Bemporad e il Piero Dorazio dei Reticoli, naturalmente con accenti diversi. Per altro verso più essenziale è il suo parallelismo con l’evolvere di Antonio Sanfilippo e Carla Accardi, tanto da far scrivere a Tapié che “Accardi et Boille avec leurs éléments baroques, posent le problème des structures de répétitions dans les ensembles complexes”.
Anche se l’intuizione dello studioso intorno al Baroque généralisé appare eccessiva rispetto alla sostanza reale del nuovo modo di Boille, è certo che quel suo delucidare un segno perfettamente struttivo eppure tutt’altro che immemore del biomorfo, quel suo fare dello spazio dell’opera la porzione di un all-over saturante e teoricamente illimite, quel suo concedersi, come avverrà d’ora in poi, a timbri e temperature cromatiche capaci di captazione sensuosa, indicano che egli è riuscito a bilanciare perfettamente la ragione della clarté intellettuale dell’approccio con le frequenze di una pulsazione psicologica viva, di una ritmica esistenziale, e verrebbe da dire di un respiro palpitante dell’immagine.
Viene il tempo in cui la titolazione Continuum, variamente declinata, ricorre spesso nell’opera di Boille, a sceverare con amoroso esprit de finesse le risonanze di una calligrafia insieme perfettamente astratta e perfettamente organica.
Sino agli anni ultimi, quelli in cui la tissularità acentrica e diffusa lascia luogo a un’inclinazione apertamente musicale in cui il segno si fa accento e brivido (Contrappunto, Quartetto, appaiono sintomaticamente tra i titoli) e in cui il tono fondamentale è dato dal colore in se stesso, delibato in fastosa pienezza di sensi e d’intelletto.