Luca Lanzi. Eikon
Luca Lanzi. Eikon, Collezioni Comunali d’Arte, Bologna, sino al 3 aprile 2016
Caratteristico del lavoro di Luca Lanzi è il recuperare e rivendicare la ieraticità atavica dell’immagine, quella sorta di interno e potente peso specifico che ne fa, appunto, eikon, rivitalizzandola rispetto alla deriva che non è neppur più postmoderna, ma perdita di sé tout court, come è nell’ultrapopism di autori come Koons e via cazzeggiando.
Il suo pregio assoluto è di mantenere il proprio approccio leggero e terso, senza le grevità intellettualistiche che hanno caratterizzato operazioni affini: il suo far ricorso al motivo e alle filigrane dell’immaginario primitivo è un’affermazione di schiettezza e immediatezza che nutre di sé lo spessore del discorso, nascondendo savinianamente la profondità in superficie.
Qui si misura con gli spazi, architettonici e pittorici, dell’antico. Non ne fa gli scenari del solito ameublement dell’intelligenza o della blague, ma l’argomento di una contaminazione/continuità saporosa e non pretestuosa.
Il potente Totem a riscontro della serie bellissime degli stemmi della Sala Urbana, Ludens in rapporto vero con La verità scaccia la Frode e fa smascherare da un genio la Calunnia di Pelagio Palagi, dice che i suoi sono pensieri pensati.
Lanzi va tracciando un percorso importante e problematicamente alto, da anni. Questa era la classica prova che poteva finire nel solito gioco ormai sdrucito di antico vs. contemporaneo, ma è diventato un’occasione acuta di visione. Non è un saper vedere, il suo, è un voler guardare.