Sanesi
Roberto Sanesi. Edoardo II e altre versioni, catalogo, Biblioteca Civica Antonio Delfini, Ridotto del Teatro Storchi, Modena, 1 dicembre 1994 – 7 gennaio 1995
“Occorre distinguere, la mia è scrittura visiva, certo, ma legata saldamente, radicata senza riserve nell’attività letteraria. Pressoché tutte le opere che vedi nascono dal mio lavoro letterario, di creazione, di traduzione. Si tratta, si potrebbe dire, di ‘omaggi’ che nascono in rapporto ai poeti, agli scrittori, ai testi che frequento, da Blake a Milton a Yeats. Di recente, per esempio, una serie intera è scaturita dalla mia frequentazione di Pound… Il senso, è un po’ quello della partitura testuale, del suo crescere per strati e movimenti.

Sanesi, Dai Cantos, 115, 1993
In effetti, ci sono casi in cui la filigrana musicale si fa esplicita, e la stessa operazione viene innescata dalla musica, da Schönberg come da Cage o da Satie… Il nucleo del problema è lo scambio tra visualità e parola… Il lavoro è semplice, in realtà. Quando affronto un brano, per prima cosa lo trascrivo, come fossi un copista medievale o rinascimentale. E’’ fondamentale il valore di pagina scritta che ogni testo possiede. Curo anche l’aspetto della calligrafia, in questa fase: poi ha inizio la frammentazione, la deriva, la ricostruzione della parola e con la parola… Beninteso, non miro alla perdita di intellegibiltà, anzi, è essenziale che lo strato di intellegibilità prima permanga… Anche questo è una traduzione, una traduzione visiva anziché solo verbale… E’ un modo, anche, di iniziare ad annotare, a penetrare nel testo… in fondo, è davvero una traduzione in tutti i sensi… Cosa si fa, lavorando da critico o da traduttore? In realtà la stessa cosa. Si assumono citazioni, si inizia a estrapolare, evidenziare, argomentare, accumulare varianti e note… In questo caso, rendo visibile questo processo, che è un po’ il modo di auscultare, e stanare, e rivelare, l’anima del testo…Mi sono reso conto di tutto questo proprio nel corso del mio lavoro letterario. Il processo di crescita e stratificazione, di articolazione e disarticolazione della parola, è il medesimo… Così, dunque, il segno diventa anche disegno, mantiene la carica visiva che storicamente gli è propria… E’ importante, però, lo ribadisco, che il segno verbale non perda la propria identità, non si perda nel mare dell’indistinto… Deve essere, per me, ‘quel’ segno, di ‘quel’ testo: se è Dylan Thomas o La terra desolata, deve rivelarsi e risuonare, non perdersi, non metamorfizzarsi in altro…”
Così Roberto Sanesi, scrittore e traduttore, poeta e artista visivo, e quant’altro, secondo i tempi e le curiosità di una pratica variatissima e sempre energetica, ma mai imputabile d’eclettismo, legata com’è, in profondo, alla sorgente stessa della parola letteraria. Ciò che Sanesi tace con qualche civetteria, in questo sintetico autoritratto, è la passione per il mondo liminale e ricchissimo che, nel nostro secolo, ha accomunato letterati e artisti della visione nell’ambito di quella che variamente è stata indicata come “poesia visiva”, oppure “scrittura visuale”, e che, da Morgenstern ai fratelli De Campos, a maestri contemporanei come quelli della storica An Anthology… del 1963 o Ugo Carrega, ha allineato e allinea personalità illustri.

Sanesi, Il matrimonio del cielo e dell'inferno (W.B.), 1994
Sanesi, di questo mondo, è figura eccellente. Da esso, tuttavia, egli si distacca perché il senso primario del suo operare non risiede nella formulazione di un progetto di qualità estetica, oppure di un armamentario sperimentale, ma in una sorta di corpo a corpo, fisico e intellettuale, con la parola e con le sue radianti epifanie. Nei suoi cromosomi, per dire in altri termini, non stanno tanto Duchamp e Tzara – che pure hanno agito, e in profondo, sulla sua cultura – quanto piuttosto lievita il lungo corso genetico che dagli autori alessandrini dei “carmi figurati” porta alle pagine smaglianti dei codici leonardeschi, e da questi alla scrittura stravagante di Sterne, e per vie tutte letterarie al Joyce estremo…
“Work in progress”, in fondo, è questa introversione della pagina a recuperare tutta la frequenza fisica dello scrivere, e il meandro dell’intelligenza che dall’evidenza della parola porta alla glossa, alle varianti, al costruirsi e decostruirsi fluente del testo. Questo, Sanesi ci mostra nelle sue opere. Che si appendono alle pareti, come quadri, ma che vanno guardate con l’occhio un po’ acuminato e un po’ feticista del filologo: in cerca della genesi eternamente elaborante della forma, non della sua un po’ lapidaria configurazione finale.