Shozo Michikawa. Haiku d’argilla, in “La Ceramica in Italia e nel mondo”, 26, Milano, settembre

Seto, nella prefettura di Aichi non lontano da Nagoya, è uno dei Nihon Rokkoyo, ovvero dei sei più antichi centri ceramici del Giappone: gli altri sono Shigaraki, Bizen, Tanba, Echizen e Tokoname.

Michikawa, Natural Ash Topology Form, 2013

Michikawa, Natural Ash Topology Form, 2013

L’arte della terra vi è praticata da quattordici secoli, tanto da assumere contorni di sacralità altrove sconosciuti. Shozo Michikawa giunge qui seguendo un percorso non dissimile da quello di Paul Gauguin: dalla finanza all’arte, scegliendo senza esitazioni il proprio destino.

La sua formazione è classica, nutrita delle sottigliezze della tradizione antica. Ma Michikawa non si sente in debito con la tradizione, con i protocolli della disciplina. La chiave del suo agire è, parimenti, indifferente al perseguire la novità a ogni costo, lo straniamento modale in sé e per sé.

Egli vuole, prima di tutto, trovarsi, non trovare. L’argilla è la sua interlocutrice naturale, da auscultare sino a instaurare una complicità genetica definitiva, da saggiare sino ad assecondarne i comportamenti come in un processo naturale. E la tecnica tradizionale un ubi consistam prezioso, di cui appropriarsi sino a che divenga sangue e nervi della sua tensione formativa, che è tutta nuova, continuamente sottoposta ad accelerazioni problematiche che ne dicano, infine, il carattere sostanziale.

Michikawa, Tanka Sculptural Form, 2013

Michikawa, Tanka Sculptural Form, 2013

Lo schema di partenza è quello della forma utilitaria, che Michikawa non abbandona mai veramente: la coppa, la ciotola, il vaso, l’olla… La questione è ragionarne in senso sculturale, evolverla sino a che l’opera si faccia corpo plastico autonomo, la cui ragione e la cui evidenza altro dicono oltre la filigrana, assunta ormai come mera citazione, della funzione.

L’artista muove da alcuni punti fermi: la consistenza scabra e forte della materia, la naturalezza sobria dei colori, l’assialità e il gioco delle simmetrie dovute continuamente perse e ritrovate, l’energetismo delle linee-forza spiraliformi che dinamizzano la sagoma sino a farne una presenza incidente e inquieta nello spazio.

Tutto ciò ne fa un maestro del tornio, naturalmente, lo strumento che asseconda perfettamente il senso di crescita della zolla e l’assettarsi della forma intorno a un centro formale necessario. Il tornio è complice perfetto della mano, del gesto rapido e ultimativo – ma quanto amorevole – che Michikawa ha raffinato in decenni di concentratissima pratica.

Anche la rapidità di esecuzione, l’economia essenziale e accertata degli atti, è componente non accessoria del suo modo di concepire il formare. Al contrario che esibizione di virtuosismo, questo procedere preserva il dato d’interna naturalezza della sua “conversation with clay”, così intima che egli può affermare con buona ragione: “In other words my partner is nature itself and I need to get along well with it otherwise the result will be unsatisfactory. All I do in the process is to give a little helping hand to the ever transforming clay to assist the way it wants to go”.

Michikawa,Tanka Sculptural Form, 2013

Michikawa, Tanka Sculptural Form, 2013

Allo sguardo dell’oggi il suo agire la forma potrebbe evocare certa improvvisazione jazz, quel fluire di musica che si dipana da se stessa per il puro tramite dell’esecutore. Ma in Michikawa avverti, compiutamente identificato, un senso profondo e delucidato dell’idea di naturale, il suo sentirsi vivere nella materia che si forma, il grumo poetico che l’argilla sa e restituisce in forma formata.

Le sue opere sono come haiku, in cui non avverti il tempo e la fatica elaborante ma la rapidità e la concisione, la parsimonia assoluta. Sono frutto di un tempo breve e di un’apparente lieve souplesse, ma non possono darsi se non in padronanza perfetta, tanto che ciò che passa allo spettatore è una scheggia poetica distillatissima e risonante dell’animo dell’autore.

S’impone la loro bellezza sobria e per certi versi ritrosa, quell’apparire momenti forti ma non assertivi d’un’energia che avverti ben presente, energia fisica che si trasforma in dinamica visiva.

In fondo, Michikawa si colloca al di fuori della querelle tra identità tradizionale della ceramica e modernità possibile. Quella di cui è in cerca è la sua autorevole e convincente identità d’autore, un pensare scultura, ragione di forma  e soprattutto sentimento della forma stessa a partire dall’intimità profonda dell’argilla e delle sue vocazioni formali, per la via del rapporto atavico che con essa ha la mano dell’uomo.