Matta. Sculture, catalogo, Giardino di Palazzo Soranzo Capello, Venezia, 9 maggio – 15 ottobre 2015

Matta espone per la prima volta in Italia nel 1950, pochi mesi dopo essersi stabilito a Roma, dapprima all’Obelisco e subito dopo alla Galleria Senior. Il suo lettore primario è, sin da quelle date, Emilio Villa, che proprio nel 1949 scrive per lui: “stiamo tracciando i segni di un nuovo luogo della coscienza”.

Matta, Giardino di Palazzo Soranzo Capello, Venezia 2015

Matta, Giardino di Palazzo Soranzo Capello, Venezia 2015

Sarà il personaggio più suggestivo e anomalo della critica italiana d’umore letterario a ribadire ciò che la vita dell’artista ha ampiamente dimostrato: “stabilirsi” è per Matta termine largamente insufficiente a indicare il suo modo di vivere e operare, che non conosce stanzialità alcuna: perché, indica il poeta, egli è un nomade, un vagabondo, un itinerante sradicato, cileno ma anche newyorkese ma anche italiano ma anche parigino…

D’altronde ciò non è che lo specchio del vitalismo bruciante del suo fare, della polypragmosyne che ne fa uno dei più opulenti artefici d’arte del secolo, sia dal punto di vista tecnico sia, e soprattutto, da quello delle ragioni del fare.

Immaginiamo, scriveva Dominique Bozo nel 1985, un Picasso che per quarant’anni realizzi quadri della dimensione di Guernica. E immaginiamo ancora che ciò accada a fianco di un flusso continuo e potente di disegni, di incisioni, di esperimenti visivi  ove ogni opera non è mai un processo compiuto, un’entità conchiusa, ma solo il coagulo radiante di una visione continua, di un processo ramificato e teoricamente illimitato che si espande e rapprende, che di passo in passo trova motivi e umori espressivi sempre ulteriori.

Quanto alle ragioni di questo fare, ancora Bozo indica Matta come “filosofo, moralista, testimone”, non pittore ma “artista, piuttosto. Architetto forse, in ogni caso per formazione. Ma architetto di cosa? D’uno spazio mentale e culturale com’era quello dei creatori del Rinascimento”, che rivelavano visioni inaudite.

Il tutto, da subito rinunciando alla dimensione autorevole dello statuto dell’arte, lasciando libero campo ai trascorrimenti del gioco e del caso, delle collisioni non lineari del senso.

Matta, Giardino di Palazzo Soranzo Capello, Venezia 2015

Matta, Giardino di Palazzo Soranzo Capello, Venezia 2015

Dunque Roma, e l’Italia. I primi approcci alle arti plastiche avvengono in questo contesto, e in questi anni. È tipica della cultura italiana del tempo la ricchezza dell’area fabrile della ceramica da cui largamente attinge, senza preoccupazioni d’artigianalità, la ricerca scultorea, indifferente al solco divisorio tracciato tra arti alte e applicate, quasi fosse un confine invalicabile, dalla critica accademica. […]

Certo, egli lavora in una sorta di frenesia d’automatismo che non si concede pause di ripensamento e possibilità di scrutinio. Ma il flusso dei gesti e dei segni cresce a partire da una cultura vasta e avvedutissima, visiva e non. Asistematica, certo, prodottasi in forza di curiosità non metodiche e di incontri anche casuali: soprattutto, per nulla interessata a inquadrare, a mettere in prospettiva, e piuttosto capace di andare direttamente al punto di ciò che possa farsi carburante espressivo ulteriore.

Così, ecco in queste sculture i Precolombiani ma anche certo Henri Gaudier-Brzeska, l’arte giapponese e Giacometti, i menhir figurati mediterranei e i bronzetti sardi, la visionarietà fantascientifica e la mitologia dei robot.

Nella serie di opere datanti ai primi anni ’90 si può a pieno titolo parlare di statue, delle quali Matta affronta, in perfetto empito an-archeologico naturalmente, le ragioni prima ancora che l’Erscheinungsform, il sistema delle apparenze.

La clausola retorica d’approccio è, latamente, antropologica, memore dello spettro di interessi su cui molto ha ragionato la compagine dei surrealisti di “Documents”, Leiris in testa, mantenendo della forma cultuale l’assorta solennità ma sottraendo ogni sacralità possibile: “era impossibile che il sacro, questa ispirazione profonda del riposo, questa trascendenza di ciò che è, intervenisse qui. La pittura di Matta è in questo senso una delle meno sacrali del nostro tempo”, ha scritto Édouard Glissant.

Sono statue, dunque corpi, delle quali anticlassicamente Matta esplora la possibilità di farsi non portatrici di senso, ma esse stesse generatrici, fomentando una dismisura  psicologica e intellettuale. […]