Alla faccia! Pollock e Michelangelo

Dunque, son qua tutti a polemizzare perché una sconosciuta giovinotta, tale Francesca Campana Comparini, sta curando una grande mostra a Firenze: senza avere magari i titoli adeguati, ma essendo la morosa di un tizio, Marco Carrai, che guarda caso è il grande sodale di Matteo Renzi, fiorentinissimo presidente del consiglio.

Certo, l’argomento è ghiotto e fa cronaca. Devo dire francamente che però la cosa non mi desta neppure un po’ di stupore. Visto l’andazzo baracconesco dell’attuale voga delle grandi mostre, non è che di competenza ne circoli granché, e francamente non ne serve molta, stante la miseria culturale media che da esse promana.

E poi che facciamo, ci stupiamo ancora perché parenti e famigli di pubblici amministratori e potenti assortiti ottengono, diciamo, attenzioni particolari? Per dire, c’è qualcuno che si sentirebbe di affermare che nelle nostre università lavori solo gente che ha titoli all’altezza? Per dire ancora, visto che poche settimane fa andava bene a molti che l’arte contemporanea finisse sotto la giurisdizione ministeriale dello “spettacolo dal vivo”, mi par di capire che delle competenze specifiche freghi assai poco un po’ a tutti, nel momento culminante del finale travolgente.

Dunque, la dottoressa Francesca, morosa o no di uno importante, non ha neppure da giustificarsi, riguardo all’incarico. È perfettamente nell’air du temps. Quel che mi piacerebbe che spiegasse – ma con lei dovrebbero farlo tutte le autorità costituite partecipi del progetto – è che cippa di mostra sia una roba che mette insieme Pollock e Michelangelo.

Non è che prendere due sommi artisti a caso – che so, Matisse e Piero della Francesca, Mirò e Raffaello, Bacon e Caravaggio (oops, questa l’han fatta davvero) – faccia necessariamente una bella mostra. Anche perché, a parte le ragioni della biglietteria, uno straccio di ideuzza, così, giusto per far finta, bisognerebbe metterla avanti. Non dico un progetto scientifico, che solo a sentirlo nominare ormai gli organizzatori di mostre e gli assessori pongono mano al revolver. Dico un’idea spacciabile vagamente come dotata di un senso: anche labile, noi ci si contenta.

Io una spiegazione me la do. Mi piace pensare che progetti come questi sboccino nelle riunioni degli adepti di una setta supersegreta, quella dei cultori di Achille Campanile. Essi condividono la certezza che lo scrittore non fosse, come banalmente si sostiene, un genio comico inarrivabile, ma un grande filosofo a tutto tondo.

Il suo saggio “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima” è la loro bibbia, per quel suo piglio inflessibile nello sceverare l’assenza di qualsiasi affinità possibile tra i due oggetti del suo pensoso studio.

Mi permetto di citare un concetto essenziale del grande filosofo, mutandolo solo un pochino e mettendo i nomi degli artisti al luogo degli asparagi e dell’anima immortale: “Per concludere e terminarla con un’indagine che la mancanza di idonei risultati rende quanto mai penosa, dobbiamo dire che, da qualunque parte si esamini la questione, non c’è nulla in comune fra Pollock e Michelangelo”.

Andremo a Firenze, e lo potremo constatare in modo cristallino. Poi dicono che le grandi mostre non servono.