De Waal
Edmund De Waal: Atemwende, in “La Ceramica”, 19, Milano, dicembre 2013
“La poesia è forse questo: una Atemwende, una svolta del nostro respiro”. Edmund De Waal muove dalla suggestione di Paul Celan per mettere in scena una ulteriore situazione plastica, silenziosa e potente.
Da sempre lavora sul punto in cui la forma artistica e la parola espressiva originano in perfetta congeneità, perché il suo fare trascende la disciplina e si vuole, pienamente, espressione. Certo il suo mondo primario di riferimento è la ceramica, la lezione fondante di Bernard Leach e l’orizzonte grande della tradizione orientale: ma è solo la vicenda d’avvio.

De Waal, Atemwende (part.), 2013 © Edmund de Waal. Courtesy Gagosian Gallery. Ph. Mike Bruce
Poi è venuta la ricerca paziente, concettualmente e operativamente acuminata, della ragione prima dell’opera. La porcellana spinta sino alla soglia della demateriazione come fosse un plesso sonoro prima ancora che visivo; una scala cromatica ridotta a toni primi e neutralizzati, esorcizzata ogni captazione sensibile diretta; un intendimento della forma, d’ogni singola forma, come precisato accento qualitativo dello spazio, come elemento d’una trama di relazioni in cui, proprio come in musica, proprio come sul bianco della pagina a stampa, contano altrettanto gli intervalli, le cadenze, l’in-between: i segni e il vuoto.
De Waal ha assunto una struttura a sua volta razionalmente schiarita, una griglia geometrica elementarissima, cromaticamente affine ai vasi che vi vengono collocati (l’esporre è anche, storicamente, fattore identitario ineludibile dell’opera), i cui ripiani non possono non evocare l’ordinamento dei compositoi tipografici sul vantaggio in cui si distillava l’idea di pagina al tempo della stampa a caratteri mobili. I vasi trovano le loro distanze, una ragione di relazione, una cadenza, pronunciano armonie e dissonanze, scrivono uno spazio e un tempo allentati, meditativi, che da fisici subito si fanno compiutamente mentali.

De Waal, Breathturn, I, 2013 © Edmund de Waal. Courtesy Gagosian Gallery. Ph. Mike Bruce
De Waal raggiunge un punto di evidenza primario, che certo dialoga con le forme di sistematizzazione geometrica e di minimalizzazione tipiche di molta cultura novecentesca. Ma vi perviene per una via tutta diversa, perché il suo non è un processo “per forza di levare”, di riduzione per eliminazione qualitativa. La sua è piuttosto una concentrazione, è un esercizio critico di scavo sino ai primari di un concetto, di un modo: l’essenza è trasparenza formale e densità intellettuale ed espressiva, in cui la tradizione atavica del rapporto con la materia, dell’idea di forma, trova incroci necessari con il valore del suono, del tono, della parola poetica: e dei loro spazi, e dei loro tempi.
L’idea di respirazione rende tutto ciò in valore suggestivo, ma allo stesso tempo preciso, non equivocabile, non retorizzabile. Solo una sapienza antica e consapevole come quella di De Waal può cogliere, oggi, una forma necessaria e in odore d’assoluto.