Mattia Corvino e Firenze
Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria, Biblioteca Monumentale, Museo di San Marco, Firenze, sino al 6 gennaio 2014
Magari il nome di Galeotto Marzio e di Taddeo Ugoleto non dicono più nulla: ma gli umanisti che diressero in tempi diversi la grande Biblioteca Corvina, sogno umanistico di Mattia Corvino a Buda, erano tutt’altro che figure di secondo piano.

Laurana, Busto di Beatrice d'Aragona, c. 1474-1475
Corvino è, tra i regnanti d’oltralpe della seconda metà del ‘400, certo il più italianizzante. Sale al trono d’Ungheria nel 1458 e a quello di Boemia nel 1469, e per un trentennio fa della sua corte – nonostante egli sia principalmente un valente uomo d’armi – una sorta di dépendance della Firenze medicea e un approdo dell’Italia colta tutta.
Certo, un ruolo decisivo lo svolge il matrimonio con Beatrice d’Aragona, che lo imparenta con la sfarzosa corte napoletana. Ma ad attrarlo di Firenze è soprattutto il genio dell’arte libraria, che lo induce a concepire l’impresa della Biblioteca, cominciando con l’impossessarsi dei tesori bibliografici italiani messi insieme dal connazionale letterato Janus Pannonius tra Ferrara e Padova.
Antonio Bonfini traduce per lui il Trattato di architettura di Filarete, Attavante gli dà pagine strepitose come quelle del Messale di Bruxelles, Gherardo e Monte del Fora illustrano per lui numerose opere primarie, tra le quali fanno spicco quelle della Bibbia ora alla Laurenziana.

Tetraevangelion di Janus Pannonius, X-XI sec.
Naldo Naldi, poi, non solo sovrintende alle commissioni fiorentine di Mattia, ma redige addirittura una suggestiva Epistola de laudibus Augustae Bibliothecae.
Alla fine la Corvina giunge a contare tremila codici, e gareggia con la Vaticana. Oggi restano solo tracce sparse di quel regno e di quella biblioteca, culla nordica di un umanesimo non di facciata.