Fausto Salvi. Ten Years After, in “La Ceramica”, 17, Milano, giugno  2013

Evocano riferimenti molto diversi tra loro, le opere di Fausto Salvi. Anche in cortocircuito tra loro. Evidente è la radice decorativa dei suoi inizi, quell’adottare la superficie ceramica come campo primariamente disegnativo e cromatico: ma è altrettanto evidente che la cultura della postmodernità lo fa agire assai liberamente rispetto a qualsiasi idea di tradizione, di disciplina.

Salvi, Gardening, 2010

Salvi, Gardening, 2010

Per esemplificare, è come se l’ottocentesca Grammar of Ornament di Owen Jones, per cui “true art consists of idealising, and not copying, the forms of nature”, fosse passata attraverso l’acido bagno dissolvente dell’Invasion durch eine falsche Sprache di un Martin Disler, che nel 1980 aprì le strade della “falsa lingua” della Wildheit pittorica constatando che ormai nessuna lingua madre ormai esiste più, e che la natura stessa è questione, domanda drammatica, e non constatazione e certezza.

La pratica d’arte si configura per Salvi come esperienza aperta, contaminante, artificiosissima. La scelta fondamentale della maiolica è primariamente scelta critica. Luogo naturale d’incontro e scambio, e radiante, tra pulsioni pittoriche e ragioni scultoree, essa ha un’identità allo stesso tempo precisa e non limitante: a Salvi importa il suo poter essere, non un non più creduto dover essere. L’artista vi intuisce, soprattutto, la disponibilità a non seguire percorsi formativi preordinati, l’intendimento possibile come strumento neutrale adattabile a intenzioni plurime.

Nel corso degli anni Salvi ne ha saggiato aspetti differenti, ogni volta essendo in cerca d’una dimensione espressiva schiarita. L’horror vacui dei lavori in cui la superficie deliberatamente contraddice il volume, facendosi portatrice di raffigurazioni affollate sino alla saturazione, ovvero la linea che dagli anni ’90 si inoltra sino alla serie recente Squaredhead, può agire per slogature e anacoluti sintattici oppure mediarsi in una sorta di ossessione modulare che forza la bidimensione: i rilievi indicano che la regola di stile del decorare è assunta e volta a un esito totalmente diverso, fatto di figurazioni abbreviate e basse, di brusca evidenza, che paiono riprendere da suggestioni come un certo postpopism e un certo graffitismo.

Salvi, Effetto PCB, 2012

Salvi, Effetto PCB, 2012

Parimenti l’artista ha esplorato le varianti tra forma chiusa e forma aperta. La stessa propensione alla modularità lo ha condotto dall’antico Spy Game a prove recenti come City into the City: elementi ripetitivi con varianti sono organizzati per disseminazione nello spazio fisico d’esperienza, sono opere che le categorizzazioni correnti direbbero installazioni. Ma una modularità straniata presiede, s’è visto, anche ai rilievi, ed è alla base genetica di lavori come Magic Wood, ognuno degli elementi struttivi del quale è sia unità plastica riconosciuta che componente funzionale d’un tutto dall’apparenza compiuta, oppure come Effetto PCB, reinvenzione urbana d’aroma metafisico.

Tra le contaminazioni più fervide figura la scelta di Salvi di far agire una pelle d’alluminio, dai tipici respingenti lucori metallici, in scambio contraddittorio con l’aspettativa “dolce” e involvente della coloritura ceramica. È un punto importante per l’artista, che scrive: “ho deciso di dare il via a una sorta di negazione della superficie vetrosa ceramica, dell’effetto smaltato. Quindi alla negazione del materiale ceramico in sé, che, in quanto tale, sembra rappresentare un ostacolo alla comprensione del suo stesso potenziale espressivo.

Quindi torno (o rimango?) a me, al mio lavoro e a quello che sostanzialmente mi piace fare: giocare, cercando strade diverse di espressione. Ricopro tutto, o per lo meno il più possibile, con questa meravigliosa sottile pellicola di alluminio adesivo, donando alle forme cotte e smaltate – a tutti gli effetti ‘complete’ – una pelle visivamente più dura e meno calda della maiolica ‘tanto amata’ ”.

Salvi, A Big Surprise!, 2008

Salvi, A Big Surprise!, 2008

Va, a questo punto, specificato con forza un aspetto essenziale dell’operare di Salvi. A una lettura superficiale esso potrebbe suonare come pratica provocatoria, spiazzante rispetto all’identità storica e formale della tecnica che adotta. Il gioco épatant tra aspettative e risultati, tra convenzioni e provocazioni, è vecchio come l’avanguardia.

Ma Salvi dell’avanguardia non è più figlio, non ha debiti da scontare. Egli potrebbe affermare, con Strawinskij, che la tradizione non la si deve rispettare proprio perché la si ama: la ceramica è una scelta d’amore, per certi versi di vocazione, in lui, e le deroghe che egli mette in campo mirano semmai a disincrostarne l’identità da una serie di retaggi sclerotici, a cominciare da quello che Salvi stesso definisce il “vortice pericoloso della ricerca tecnologica”.

Se la terra è, dall’origine, luogo proprio dell’esprimere, è al cosa esprimere che bisogna continuamente guardare, non alle malie del come. L’artista ha urgenze e bruschezze espressive, una violenza venata appena di grottesco e alleviata da un lucido passo ironico, cui l’operare in ceramica conferisce una sorta di contraddizione dolce, un’ambiguità suadente e talora fastosa. Proprio la clausola decorativa, a ben vedere, è giocata come un cavallo di Troia di significazioni di segno ben diverso: che dicono di urgenza, del diroccarsi del senso, del trascolorare di valori su cui la nostra cultura s’è pure per secoli fondata.

La chiave di tutto si identifica, a mio avviso, nel passaggio da una serie come Connection ai Vegetalisperimentali, che sono per più d’un verso il suo esito espressivo più maturo. Connection è l’accelerazione visionaria del motivo d’una struttura squisitamente meccanica, le tubature, a sviluppo teoricamente illimitato. Con prima baldanza metamorfica Salvi declina tale approccio in un repertorio di apparizioni d’umore biomorfo, tra anatomico e vegetale. Poi la metamorfosi prende a compiersi, e una vegetazione inquieta e inquietante si evolve da quelle crescenze meccaniche, sino a farsi territorio d’una naturalità allarmata ed estranea. Fratelli di Magic Wood ma svolti sul germogliare improgettabile e proliferante degli andamenti curvilinei, i Vegetalisperimentali esplorano una sorta di impazzimento naturale, di perdita definitiva di centro della ragione formale.

Con grazie e suggestioni estetiche, certo, ma per far passare un ragionamento sul nostro stare al mondo d’ansiosa, talora livida lucidità.