Sette scultori ceramisti veneti, catalogo, Castello inferiore, Marostica, 23 novembre – 14 dicembre 1986

È un rischio sempre presente, per chi faccia pratica d’alto artigianato come gli artisti presenti in questa mostra, quello di compiacersi del virtuosismo, della sapienza este­riore, dell’effetto facile e gratificante.

Essi, invece, eredi d’una tradizione cosi antica e così connotata, hanno saputo porre in modo ben diverso la questione fondativa del proprio lavoro, e farlo diventare mo­derno nel senso più corretto e aperto del termine.

Pianezzola, Fossile, 1985

Pianezzola, Fossile, 1985

Da un lato, hanno decantato, con lungo esercizio, l’autenticità della sapienza antica, il meccanismo saporoso delle scelte, delle aspettative, il rituale sovrano degli atti nella terra. Dall’altro, hanno posto in modo molto lucido e chiaro la questione della possibilità attuale della decorazione, in un mondo e in un ambito di cultura in cui l’oggetto d’uso tende a omologarsi a modelli bassi e insensati, a rendersi coerente a una serialità di produzione che passa necessa­riamente per la via della perdita d’identità specifica dell’oggetto.

Nulla, essi sanno, può sostituire la carezza della mano; soprattutto, può far luogo della fisiologia complessa che si instaura tra i gesti antichi, carichi di sedimentazioni storiche, e il valore di essenzialità, di intelligenza della forma, che è il vero codice genetico che accomuna il va­saio di Gurnia agli artefici d’oggi. Per questo, più che a equivoci riferimenti folkloristici, di tradizionalismo acritico, essi hanno guardato e guardano alla ricerca pura, al vitalissimo dibattito scultoreo in cor­so negli ultimi decenni; e insieme, hanno affrontato e af­frontano l’ormai esausta querelle tra artigianato e dise­gno industriale senza complessi, rivendicando un’incoerci­bile autonomia e identità alla propria pratica.

Per essere assolutamente moderni, come vuole una delle parole d’ordine dell’avanguardia del nostro secolo, si deve saper essere assolutamente antichi: ovvero, possedere un senso non retorico né passivo della storicità, usare della facoltà critica dell’intelligenza e dell’invenzione più che della perizia, più del talento tecnico. Nelle loro forme, nei loro oggetti, tutto questo lievita in modo naturale, senza sforzo, senza inutili proclami ideolo­gici e definizioni teoricistiche. Anche il silenzio, per un sapiente, è una condizione del­l’arte.